venerdì 27 aprile 2018
venerdì 6 aprile 2018
6 aprile 1992, inizia l’incubo a Višegrad
26
anni fa aveva inizio la guerra in Bosnia Erzegovina con l’assedio di Sarajevo,
che con i suoi 1445 giorni è stato l’assedio più lungo della storia del
ventesimo secolo e, a Višegrad, con l’inizio dei bombardamenti ai danni delle
case dei musulmani-bosniaci.
Ripercorriamo
brevemente quei giorni grazie alle parole del giornalista e
scrittore Luca Leone nel reportage sul campo dal titolo Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
Ragioni economiche, storiche e
strategiche portano, il 6 aprile 1992, unità serbe locali appartenenti alla
Jna, ovvero la Jugoslovenska narodna armija, ad aprire il fuoco contro
la città di Višegrad oltre che contro molti villaggi circostanti.
Il referendum del 1° marzo 1992
aveva sancito quasi all’unanimità – con l’esclusione della quasi totalità dei
cittadini serbo-bosniaci, che si erano astenuti dalle urne, come chiesto dal
loro leader Radovan Karadžić – la volontà della Bosnia Erzegovina di
seguire l’esempio sloveno e croato e di proclamare l’indipendenza della
Repubblica dalla Jugoslavia. La reazione serbo-bosniaca è quasi immediata e si
concretizza in un diffuso intervento armato contro la Bosnia Erzegovina, sia a
Sarajevo che in molte città di confine. Tra queste, Višegrad.
Una breve
digressione. Il 6 aprile 1992 è il giorno in cui viene fatto formalmente
cominciare il conflitto in Bosnia Erzegovina. È il giorno in cui i cecchini, a
Sarajevo, assassinano Suada Dilberović e Olga Sučić. Qualche libro riporta la
data del 5 aprile per raccontare lo scoppio del conflitto. In realtà non è
così. Come non è vero, o non del tutto, che è quello il giorno in cui comincia
l’aggressione contro la municipalità di Višegrad. Si tratta, in verità, di date
simboliche, perché l’essere umano ha bisogno di catalogare tutto, e per farlo
necessita di un inizio e di una fine – trasferendo così negli archivi che forse
giungeranno ai posteri la sua, la nostra, biologica finitezza e fragilità.
I primi segnali
dell’inizio del conflitto in Bosnia Erzegovina risalgono alla fine del 1991. La
prima vittima sacrificale fu la cittadina bosniaco-erzegovese di Ravno, ad
ampia maggioranza croato-bosniaca, attaccata dalle forze serbo-bosniache.
L’allora presidente bosniaco Alija Izetbegović, il presunto padre della Bosnia
Erzegovina, bollò quel primo episodio di pulizia etnica come un “fatto” tra
serbi e croati e tranquillizzò i suoi concittadini – come follemente avrebbe
fatto altre volte, in seguito, anche di fronte all’evidenza dell’inizio
dell’assedio a Sarajevo – asserendo che la Bosnia in quel conflitto sarebbe
rimasta neutrale. Chissà se l’intellettuale musulmano-bosniaco amico della
Libia e dell’Arabia Saudita (e degli Stati Uniti) lo pensava davvero. Le prime
richieste d’aiuto arrivano a Sarajevo, però, dai villaggi e dalle cittadine
lungo la Drina, in particolare da Bijeljina (che è ben più di una cittadina,
con i suoi quasi 115.000 abitanti) e da Zvornik. Parliamo del 4-5 aprile.
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