Radovan Karadzic lavorava come medico – come omeopata – in un ambulatorio privato alla periferia di Belgrado. Occhiali da vista, barba bianca lunghissima, grandi baffi, l’artefice e ideologo della pulizia etnica in Bosnia Erzegovina, irriconoscibile esteticamente, curava esseri umani sotto (presunte) mentite spoglie. Lui che durante la guerra in Bosnia (1992-1995) di esseri umani ne ha ammazzati tra i 100.000 e i
Radovan il medico, Radovan lo psicologo della squadra di calcio di Sarajevo, Radovan il politico. Radovan il poeta, che solo nel 2005 mandava alle stampe un libro di poesie in Serbia, in spregio e sfregio di tutto e tutti, lui ricercato per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio…
Guarda caso, ecco subito chi vuole far entrare prima possibile (Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano, ad esempio)
L’arresto di Karadzic, undici giorni dopo la celebrazione dell’anniversario del genocidio di Srebrenica (10.000 persone uccise in cinque giorni, l’ultimo “capolavoro” della premiata ditta Ratko-Radovan), è stato dunque accolto da giubilo e festa. In strada sono scesi in tanti, inclusi i cretini. Forse gli stessi che erano a Srebrenica, l’11 luglio 2008, sventolando bandiere arabe. È il nazionalismo ottuso che non conosce distinzione tra stupidità di una parte e dell’altra. Il nazionalismo musulmano, questa volta, che per restituire favori di guerra ai Paesi arabi gioca – sulla pelle della stragrande maggioranza laica dei bosniaci – a trasformare
Karadzic, arrestato venerdì sera, è dunque in galera. Tre giorni per prendere accordi diplomatici, costruire dichiarazioni e comunicati a effetto, e finalmente la notizia è stata data in pasto anche a noi, e soprattutto a coloro che invocano giustizia da quasi tre lustri.
Ora sono tante le domande cui nessuno di noi può dare risposta.
Quando il genocida dei Balcani sarà estradato all’Aja?
Quando potrà cominciare, finalmente, il processo e quanto durerà?
Chi avrà l’arroganza di difenderlo?
A quale pena sarà condannato?
Esiste una condanna sufficiente per punire un uomo come lui, incarnazione del male in terra?
Quale rete televisiva avrà l’esclusiva a pagamento per intervistarlo?
Sopravviverà fino alla fine del processo o farà la fine toccata in sorte al socio Milosevic?
E soprattutto: la giustizia internazionale sarà potenziata per pervenire finalmente anche all’arresto del vero numero uno della lista, ovvero Mladic? Oppure dovremo accontentarci di Karadzic e, con questo mezzo tributo,
Manco a dirlo, nessuno di noi ha risposte a queste domande. Troppo grandi per chi vive alle prese con i super-euro, la super-benzina, i super-problemi di ogni giorno.
Tutto quello che sappiamo è che oggi per molti è un giorno di festa, nella speranza che finalmente il vento della ragione spazzi via le bandiere di parte. Il tempo ci dirà qual è stato lo scambio che ha portato Karadzic in gabbia.
Senz’altro, al di là di tutto, in gioco c’è
Per ogni cosa ci sono dei prezzi da pagare. Finalmente Karadzic sta per saldare il suo conto. Al di là della condanna che, presumibilmente, lo vedrà finire i suoi giorni in carcere (si spera non a cinque stelle), la punizione più giusta sarebbe poterlo mettere davanti alle immagini, agli odori sgradevoli, alle grida, alla disperazione di ciò che ha prodotto in Bosnia Erzegovina. Ma è difficile che un uomo così riconosca i suoi fantasmi e quel che Stanlei Kubrik ha partorito in “Arancia meccanica” non è – per fortuna – realizzabile nell’altrettanto cruda realtà. Chi ha convissuto, fuggendo, per 13 anni con le sue colpe e si è avvalso della “facoltà di non rispondere” appena arrestato, non conosce fantasmi. E allora, alla fine, tutto quel che rimane è la speranza che possa vivere a lungo e farlo nel chiuso di una cella, in attesa che il dio in nome di cui, senza averne mandato né ragione, ha fatto massacrare un popolo gli renda la punizione – quella, sì, giusta ed eterna – che spetta ai malfattori come lui.