Sta
conoscendo una sosta l’ondata di proteste di piazza che da mercoledì 5 a sabato
8 febbraio ha scosso una trentina di città in Bosnia Erzegovina, tra cui
Sarajevo, Mostar, Tuzla, Zenica e Bihać.
Le
proteste, esplose a Tuzla, si sono rapidamente diffuse in molte altre località
bosniaco erzegovesi e hanno visto a più riprese confrontarsi civili e polizia,
con un bilancio di oltre 200 feriti.
Ragione
delle proteste sono la corruzione e il nepotismo politico oltre alla fortissima
disoccupazione, che ha recentemente toccato il 49 per cento della popolazione
attiva, attestandosi oggi attorno a uno stimato 45 per cento. La Bosnia, che
mai ha concluso, dopo quasi vent’anni, la sua transizione da una condizione di
guerra a una di pace, è considerata da anni uno dei Paesi più poveri e
politicamente più corrotti d’Europa. Val la pena rimarcarlo poiché non vi sono
elementi di conflitto interetnico negli scontri verificatisi la scorsa
settimana, che sono giunti all’estremo di appiccare incendi ad alcuni palazzi del
potere, sia a Tuzla sia a Sarajevo.
Se ogni
forma di violenza – sia da parte della popolazione che protesta sia da parte
delle forze dell’ordine, che non hanno esitato a usare manganelli e cannoni ad
acqua – deve essere fermamente condannata, la tensione sociale era palpabile
nell’aria in Bosnia ormai da mesi e la vera ragione dell’esplosione di rabbia
della scorsa settimana è dovuta alla sfacciata e onnipotente corruzione che
caratterizza il comportamento e gli atti di buona parte della classe politica
bosniaco erzegovese, a tutti i livelli, sia amministrativi che governativo e
parlamentare. È, questa, una cosa che personalmente denuncio da anni e che è
parte fondamentale del mio “Bosnia Express”.
Duole che
vi siano stati feriti e atti di violenza (la violenza è comunque sempre un errore), ma da osservatore esterno e attento
trovo ovvio ed evidente il fatto che prima o poi qualcosa dovesse accadere. Duole
ancor di più che la politica, in particolare i nazionalisti, non se ne sia
voluta accorgere, perseverando in atteggiamenti scorretti ai danni della
popolazione. Ora sta all’intelligenza dei politici rivedere certe assurde
modalità comportamentali e cominciare finalmente a lavorare per il bene comune
e non solo per quello personale, del partito e delle lobby locali e internazionali,
unici soggetti, insieme alle banche, a essersi veramente arricchiti in questi
due decenni di precario dopoguerra bosniaco.Al momento alcuni politici in carica, come il presidente del cantone di Tuzla e quello del cantone di Sarajevo, hanno annunciato le loro dimissioni. Certamente si tratta solo della punta dell’iceberg ed è evidente a tutti come i veri responsabili dei problemi del Paese siano ben lontani dall’annunciare la loro intenzione di farsi da parte. La speranza, almeno, è che abbiano la buona volontà di modificare il loro atteggiamento predatorio, in nome della civile e pacifica convivenza della gente. E che abbiano l’intelligenza di capire che questa ondata di proteste non è destinata a rimanere isolata. È, invece, figlia delle proteste di piazza che hanno fatto seguito, nella prima metà del 2013, all’impossibilità di dare un codice identificativo ai neonati perché i partiti fingevano di non riuscire ad accordarsi in materia (causando colpevolmente la morte di due piccoli, impossibilitati, a causa dell’assenza del codice, a essere curati all’estero) ed è destinata a dare vita a nuove e inedite forme di protesta – si spera sempre non violente – finché finalmente non si sarà operata una sana rigenerazione di una classe politica inetta e impresentabile come quella della Bosnia Erzegovina, figlia diretta e legittima dello scempio politico e istituzionale degli Accordi di Dayton del novembre 1995.