Cari Amici,
l’onda di piena di auguri di compleanno che da questa
mattina prestissimo ha invaso la mia pagina facebook mi ha commosso e continua
a commuovermi. La verità è che non sono abituato.
Non ho ancora risposto ai vostri bellissimi auguri perché
oggi era fissata la scadenza per la consegna delle bozze definitive del nuovo
libro, che esce a metà ottobre, e di cui vi parlerò diffusamente a fine mese.
Consegnate a chi di dovere le bozze, mi sono finalmente potuto confrontare con
questo numero incredibile di messaggi e mi sono chiesto: rispondo singolarmente
o collettivamente? E, se rispondo collettivamente, posso regalare qualcosina, a
mia volta, a questi Amici che mi hanno donato una così grande emozione?
Pensa e ripensa, alla fine ho optato per l’ultimissima
soluzione, sperando di farvi cosa gradita e non noiosa. Ma mi direte voi, senza
peli sulla lingua.
Comincio, innanzi tutto, regalandovi l’immagine della
torta di compleanno che questa mattina la mia figlia maggiore mi ha fatto
trovare sul tavolo della cucina, dopo che il resto della famiglia mi aveva
buttato a forza giù dal letto. L’ha fatta tra ieri pomeriggio e questa mattina
presto, è stata bravissima. La torta non è esattamente ciò che possa essere
definito un prodotto alimentare ipocalorico, ma è buonissima (chi fosse
interessato e volesse assaggiare, ce ne sono ancora due ettari in frigorifero
da ottomila calorie al cucchiaino…). Dalla foto evincerete che gli anni sono
44. Ovviamente non è vero: sono sempre 27. Il 44 serve per sviare… Noi
highlander teniamo il profilo basso…
In cosa consiste questo “regalino” che voglio provare a
farvi, sperando che la vena narrativa stamattina non si sia prosciugata?
Ebbene, vorrei brevemente raccontarvi di due dei miei 44
(ma in realtà 27…) compleanni.
Prima, una precisazione: sono nato in quella che una
volta era la campagna romana, fertile e verde, oggi devastata dal cemento, dall’asfalto
e dalle discariche abusive. Essendo del 20 agosto, non ho praticamente mai
festeggiato un compleanno da bambino, se si eccettui la presenza non proprio
giovanile di qualche nonno, finché ne ho avuti, dei genitori (in realtà di uno,
perché l’altro non ha mai fatto testo), e del cane. Le mie estati – e quindi
anche i compleanni – sono state sempre contrassegnate dalle seguenti presenze
fisse: il vicino di casa più grande d’età che mi fregava i soldatini; il cane;
il pallone; le rose di mia madre, che annullavano dopo un mezzo pomeriggio il
pallone. Quindi restavano il vicino, sempre meno soldatini, il cane e le rose…
Se oggi è invalso l’uso di “recuperare” i compleanni estivi dei ragazzi con una
festa “tardiva” in settembre, a quel tempo non era così.
La mia prima vera festa di compleanno, così, fu quella
per i 18 anni. Ma dopo 18 anni senza feste… beh, devo dire che la voglia un po’
m’era passata… Avevo trascorso parte dell’inverno e della primavera del 1988 partecipando
a feste di compleanno per i 18 anni di compagni di scuola. Alcune sfarzose,
addirittura in discoteca, con affitto a uso esclusivo della sala e del dj.
Altre più contenute, magari fatte nel giardino di casa, con musica, amici,
divertimento. La mia festa di compleanno fu caratterizzata dall’affermazione
perentoria di mia madre: “Dobbiamo festeggiare!”. Seguita da un altrettanto
perentorio e affatto sibillino: “Ci penso io!”. Ci ha sempre pensato lei. E
infatti i danni a volte sono stati incalcolabili.
Invitati, tutti scelti da lei, furono: tre miei zii con
consorti, i miei nonni materni, due cugine alquanto racchie, l’amica del cuore…
di mia madre, con marito monosillabico e i due figli che mi stavano, per
inciso, da sempre sul gozzo. E in più, guest star, mio padre, il che non voleva
dire che fosse un evento lieto…
Ambientazione: il garage di casa, per l’occasione
spazzato, deragnatelizzato e dotato di numero di tavoli due e relative sedie.
Intorno: casa, con ponteggi per via di certi lavori edili. Il clou della serata
fu la bicchierata finale, che ho difficoltà a definire brindisi. Mio padre
conservava da anni una bottiglia di pregiato champagne francese regalatagli da
non so chi. Il tappo non emise alcun suono… lo champagne era ottimo per
condirci l’insalata… Quella, tuttavia, fu la parte più simpatica della serata…
se ci eccettui il garage da rassettare una volta andati via gli ospiti… e le
affermazioni di mai madre: “Ah, che bella serata! Ah, che bella serata!...”.
Da allora non ho quasi mai più festeggiato il mio
compleanno.
Anni dopo, un evento ancora legato alle (mancate)
celebrazioni per il mio compleanno.
Anno 2008, compio 38 anni. Cenetta a casa con moglie e
figlia maggiore (la minore era ancora lungi dal venire, il mondo ancora
ignorava a quale cataclisma stessa inconsapevolmente andando incontro…). Il
giorno dopo è atteso l’arrivo della mia suocera piemontese, appena rientrata da
una vacanza e annunciata come piuttosto pimpante.
Due precisazioni. La prima: ho un discreto pollice
verde e tendo a occupare con piante e piantine ogni millimetro disponibile. La
seconda: l’ultima volta che mia suocera ha sorriso stava per essere aperta la
breccia di Porta Pia. Pare abbia poi sorriso un’altra volta. Il documento inedito
sarebbe stato mandato in onda da Roberto Giacobbo in una puntata di “Voyager”.
Ma avendolo trasmesso tra un servizio sulle scie chimiche e uno sui cerchi del
grano, la sua veridicità storica non sembra essere dimostrata né dimostrabile…
Dunque, fermiamoci a Porta Pia…
Mia suocera parcheggia sotto casa e s’incolla al
citofono: “Scendi ad aiutarmi”, esordisce perentoria. Obbedisco. Estrae dall’auto
buste varie. E un secchio. Bianco. Con sopra, a mo’ di coperchio, un grosso
sottovaso verde rovesciato. Gli indizi sarebbero stati sufficienti a capire, ma
non c’è nessuno tanto cieco come chi non vuol vedere.
Vengo incaricato del trasporto del grosso secchio, che
in effetti pesa. In casa, la suocera distribuisce i regalini. A me tocca il
secchio. “L’ho raccolta personalmente per te”, mi fa orgogliosa, facendomi
segno che è finalmente ora di aprire. Sollevo il sottovaso. Ho appena
trasportato in casa un secchio pieno di letame di mucca. “E’ per i tuoi vasi”,
fa orgogliosa, poi aggiunge: “Auguri!”.
Questo è quel che da allora ho sempre definito un
compleanno di merda. Pochi anni prima m’era capitato di passare un capodanno
ancora più nella merda, ma questo ve lo racconto un’altra volta.
Aggiungo solo che mia suocera arriva domani col treno
che si ferma a Modena alle 17,30. Arriva dalla montagna.
Tremo al solo pensiero di cosa possa scendere da quel
treno…