“Non
tornerò di certo all’Aja di mia spontanea volontà!”. Con queste parole il pluri-incriminato
serbo Vojislav Šešelj, leader dell’ultranazionalista Partito
radicale serbo (Srs), ha risposto ai giudici del Tribunale penale per i crimini
di guerra nella ex Jugoslavia (Tpi) che gli intimavano di rientrare in cella dopo
la scarcerazione provvisoria ordinata dallo stesso Tpi lo scorso novembre per motivi
di salute.
I giudici del Tpi hanno ordinato
infatti “alla corte di annullare immediatamente il provvedimento di libertà
provvisoria disposto a favore di Šešelj e il suo ritorno nell’unità detentiva
dell’Onu” all’Aja, si legge in un comunicato emesso dal Tribunale
internazionale. Peccato che Šešelj abbia reagito come sopra, aggiungendo: “Questa
decisione non mi riguarda”.
Quella di Šešelj è, in sostanza,
una sfida lanciata ancora più che al morbido, anzi molle, Tpi, al governo
serbo. Governo di destra e nazionalista, ma non gradito a Šešelj in quanto non
abbastanza radicale. Šešelj e i suoi supporter
dell’estrema destra serba vogliono tastare il polso al governo del presidente Nikolić
e vedere se questi avrà il coraggio di far arrestare il leader ultranazionalista per farlo estradare nel luogo che gli
compete, ovvero una cella olandese.
Šešelj era stato liberato lo
scorso novembre per permettergli di curarsi un cancro al colon. L’uomo – accusato
di omicidio, atti inumani, persecuzioni per motivi politici, razziali e
religiosi, sterminio e attacchi contro civili in Bosnia Erzegovina, in Croazia
e nella regione serba della Vojvodina, per oltre dieci anni deputato
dell’Assemblea nazionale serba e di quella federale della Repubblica jugoslava,
vice primo ministro serbo dal 1998 al 2000 e sindaco di Zemun dal 1996 al 1998
– era stato estradato all’Aja il 24 febbraio 2003 ed è in attesa della sentenza
del Tpi dal marzo del 2012. Appena rientrato a Belgrado era stato accolto da
scene di giubilo e da subito si era lasciato andare alle intemperanze verbali
che gli sono note e proprie. Dopo l’intervento chirurgico al colon non si è
fatto sfuggire l’occasione di attaccare ripetutamente il governo serbo in
carica e i giudici internazionali ed è arrivato, la scorsa settimana, partecipando
ad alcune manifestazioni dell’ultradestra serba in occasione del sedicesimo anniversario
dall’inizio dei bombardamenti della Nato sul Kosovo e su Belgrado, a bruciare
bandiere della Nato, dell’Unione europea, degli Stati Uniti e del Kosovo.
È evidente che Šešelj non tornerà
mai di sua spontanea volontà in Olanda. Così come è altrettanto evidente che
questa è l’ennesima pessima figura del Tpi e dei suoi giudici, troppo laschi
con gli imputati ma inflessibili con le vittime. Non è male che i giudici del
Tpi facciano, una volta di più, la figura dei fessi. Le donne di Srebrenica,
quattro mesi or sono, avevano paventato il pericolo che Šešelj si rendesse
uccel di bosco, ma non serviva avere capacità di preveggenza per capire che
sarebbe andata come sta andando.
Vedremo come andrà a finire. Ma
amministrare così la giustizia fa male a sicuramente a tutti, in primis alla giustizia stessa, non
solo alle vittime di personaggi del calibro Šešelj, e qualche dimissione
eccellente all’Aja e dintorni non rappresenterebbe di certo un cattivo segnale.
Almeno nei confronti di chi aspetta giustizia da vent’anni per le malefatte di
personaggi che hanno la possibilità di scorrazzare ancora in lungo e in largo,
con le loro idee malate e razziste, in giro per l’Europa.