Ieri sera ho avuto il piacere immenso e l’onore di assistere – per la quinta volta in vita mia – al concerto bolognese di Peter Gabriel.
Peter
– artista a trecentosessanta gradi e per questo unico o quasi nel panorama
contemporaneo – ha proposto dal vivo, in un concerto sold out, tutto lo storico album “So” (di cui festeggiamo il
venticinquennale) e buona parte dei suoi successi. Oltre due ore di musica ad
altissimo livello, con arrangiamenti, scenografia, luci, suoni perfetti.
Hanno
accompagnato sul palco un Gabriel in forma smagliante e dalla voce sempre più graffiante
i grandi amici di una vita oltre che impareggiabili artisti – l’immenso bassista
Tony Levin, uno dei migliori al mondo e tra i pochi specialisti planetari di uno
strumento incredibile che si chiama “Chapman Stick”; il grintoso e pulitissimo
chitarrista David Rhodes; il tastierista e polistrumentista David Sancious; il
batterista e percussionista Manu Katché – cui si sono aggiunte due magnifiche
cantanti e polistrumentiste svedesi, Jennie Abrahamson e Linnea Olson, che
hanno scaldato il pubblico come “spalle” con le loro voci struggenti e potenti
e poi si sono esibite al fianco di Peter come coriste e strumentiste, in
particolare con un meraviglioso violoncello.
Inizio
del concerto acustico e toccante, poi d’improvviso un’esplosione di luci ed
elettronica, con la chitarra elettrica di Rhodes e il basso del grandissimo
Levin su Tutti. Infine, nella terza parte del concerto dell’Unipol Arena, l’intero
album “So”. Pezzi meravigliosi, con accordi nuovi ed emozioni a non finire. Su
tutte, “Don’t give up” da brividi, “Mercy Street” da lacrime, che Gabriel ha
cantato supino, a terra, immedesimandosi in modo struggente nella sfortunata
protagonista della canzone, l’inarrivabile preghiera laica “In your eyes”, la
storia “Shock the Monkey” riarrangiata con un riff ipnotico e penetrante, e nel
bis l’intramontabile “Biko”, con un levarsi di pugni nell’aria a dimostrare che
non ci arrendiamo, che siamo tutti pronti a lottare per la libertà e la
democrazia come, nel 1977, ci ha insegnato l’eroe della resistenza anti-apartheid Steven Biko, ammazzato dalla
polizia sudafricana. Peter ha voluto dedicare “Biko” agli eroi di sempre,
spesso inconsapevoli della loro grandezza, che a costo della loro vita e senza
pensare al loro destino non cedono di un passo davanti ai loro sogni di libertà
e giustizia. Il pensiero è andato subito ai nostri Partigiani, che hanno
lottato per darci un Paese meraviglioso che forse non meritiamo e che stiamo
distruggendo o lasciando che venga distrutto. Grazie Peter, anche per questo.
Alla
fine, da “Daddy Long Legs” a “Biko”, ventuno grandissimi pezzi attraverso oltre
trent’anni di carriera solista da parte di uno dei pochi artisti viventi a
poter dire – ma non lo dirà mai, perché è un uomo umile e con la testa sulle
spalle – di aver contribuito a scrivere le pagine più memorabili della storia
della musica nel secondo Novecento.
Ora
speriamo in un nuovo album, e che Peter non si stanchi mai di viaggiare,
suonare e darci energia. Che è ciò di cui tutti abbiamo un grande, immenso
bisogno!