Undici
arresti tra presunti fiancheggiatori dello Stato islamico (Is) hanno scosso la
vigilia natalizia di una Sarajevo chiusa al traffico per smog a causa sia della
circolazione automobilistica che della combustione di qualsiasi oggetto
bruciabile nelle stufe di persone che ormai, a causa della crisi economica
persistente, stanno regredendo quasi ai tempi della guerra del 1992-1995.
Gli
arresti, realizzati tutti nella periferia sarajevese, riguardano, come indicato
dalla Procura, “persone sospettate di terrorismo, di finanziamento e di
preparazione di un attacco terroristico, oltre che di avere istigato aspiranti
jihadisti a raggiungere fronti di guerra all’estero”. Almeno altri quattro
ricercati sarebbero al momento sfuggiti alla polizia bosniaca, che continua a
indagare.
Immancabilmente,
la notizia non ha lasciato indifferente Milorad Dodik, il padre-padrone dell’Entità
della Repubblica serba di Bosnia, che in una conferenza stampa svoltasi ieri a
Banja Luka non ha perso occasione per gettare benzina sul fuoco (attività in
cui da sempre eccelle), sostenendo che in Bosnia vi sarebbero almeno 3.500
persone pronte a eseguire attentati terroristici suicidi. Dodik non ha rivelato
le fonti di quella che sembra l’ennesima sparata propagandistica.
Intanto,
l’operazione “Lift” ha portato alla luce, sempre a opera della polizia bosniaca
e della Procura di Sarajevo, che ha condotto le indagini, un commercio
internazionale di armi da fuoco ed esplosivi, stavolta però non diretti a
terroristi islamici presunti o tali ma, più “semplicemente”, a criminali europei
attivi nel continente, in particolare, pare, in Germania. Le forze dell’ordine
bosniache avrebbero sequestrato, tra l’altro, undici chili di esplosivo, 29
fucili, 34 pistole, 4.771 munizioni di vario calibro, 21 bombe a mano, circa
cinque chili di polvere da sparo e 123 detonatori. Una piccola santabarbara.
Della quale non c’è da stupirsi, visto che in Bosnia tutti sanno dell’esistenza
di centinaia di depositi di armi clandestini dove tonnellate di armi sono state
accatastate dopo la fine della guerra, e che da alcuni anni le forze di polizia
europea ricercano con molto meno vigore di quando in Bosnia Erzegovina c’erano
i militari della forza di pace internazionale. Per alcuni quelle armi “potrebbero
tornare utili, un giorno”. Si spera che così non sarà mai e che quella robaccia
marcisca presto nei depositi in cui è accatastata.