Sono circa
un migliaio i gruppi armati impegnati a vario titolo nel mondo in guerre ad
alta, media e bassa intensità che stiamo per traghettare dal 2015 al 2016. E
sono centinaia di milioni gli esseri umani nel mondo interessati a vario
livello dalle conseguenze degli scontri attivi, al momento, in almeno 57 Paesi
o Regioni.
Proviamo
a fare una lista di Paesi caldi, regione per regione. Consapevole di averne dimenticato
qualcuno. E forse ci renderemo conto che questo Natale sarà sereno, per nostra
somma fortuna, per noi e per pochi altri sulla faccia del pianeta. Tiriamo da
questa evidenza la certezza d’essere fortunati e lo stimolo a fare qualcosa di
più per chi sta peggio di noi, non solo nello spirito del Natale, ma in quello
di una fratellanza universale che non può e non deve essere solo un modo di
dire, ma un impegno per fare. Prima di tutto per i bambini. Per loro, mai
nessuno sforzo può o deve essere vano. Poi per tutti gli altri che stanno
soffrendo situazioni spaventose, che spesso non siamo neppure in grado d’immaginare.
Africa:
Algeria, Angola, Burundi, Ciad, Camerun, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea,
Etiopia, Kenya, Libia, Mali, Mauritania, Mozambico, Nigeria, Repubblica
Centrafricana, Repubblica democratica del Congo (solo qui sono attivi non meno
di una quarantina di gruppi armati e negli ultimi vent’anni sono morte alcuni
milioni di persone), Somalia, Sudan, Sud Sudan, Tunisia, Uganda.
America:
Colombia, Messico, Perù.
Asia:
Afghanistan, Bangladesh, Birmania, Cina, Filippine, India, Indonesia, Kazakistan,
Kirgyzstan, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, Tagikistan, Thailandia, Uzbekistan.
Europa:
Abkhazia, Azerbaigian (Nagorno-Karabach), Cecenia, Daghestan, Georgia, Kosovo, Macedonia,
Ossezia del Sud, Transnistria, Ukraina.
Medio
Oriente: Arabia Saudita, Iraq, Libano, Palestina-Israele, Siria, Turchia, Yemen.
La
lista è aperta e può essere aggiornata in qualsiasi momento. Andrebbe aggiunta
ad esempio la Bielorussia, dittatura europea in cui – unico caso nel continente
– è ancora attiva la pena di morte. Ma anche altri Paesi (penso, per dirne
qualcuno, a Cile e Venezuela, ma anche al Bhutan e al Sahara Occidentale, per
non tacere del Tibet), in cui i diritti della persona sono quotidianamente
oggetto di restrizioni e di negazione.
Non
credo in Dio, ma se volessi vedere un presepe, quest’anno, mi viene da pensare
a un campo profughi, in cui magari sta nascendo uno dei tanti, troppi bambini
destinati a essere crocifissi sulla croce della povertà per la sola sfortuna d’essere
nati “dalla parte sbagliata” del pianeta. Non è detto che tra loro vi sia un
Gesù Cristo. Ma tutti sono sicuramente piccoli che hanno il diritto di vivere e
di partecipare alla lotta quotidiana per rendere migliore questo pianeta.
A
loro, soprattutto a loro, oggi più che mai va ogni mio pensiero, oltre alla
consapevolezza che almeno parte della loro sofferenza dipende dalla nostra
apatia e dal nostro egoismo.
Sarà
bene dare una svegliata alle coscienze. E non solo per Natale.