Ho incontrato pochissimi giorni fa, di nuovo, Hatiđa a Srebrenica. Ci siamo lungamente abbracciati, con la gioia di ritrovarci. Una musulmana bosniaca che ha perso tutto e un agnostico italiano che da allora cerca di fare qualche passo con lei sulla strada lunga e difficile della memoria e della giustizia.
Ci siamo resi conto che, in tutti questi anni (ci conosciamo dal 2000), non ci siamo mai fatti scattare una foto insieme. E allora eccola qua, la foto. Hatiđa ha incontrato, con la consueta dolcezza e pazienza, un gruppo di persone che ho avuto il piacere di accompagnare a Srebrenica. Ci ha raccontato come sono andate le cose, ha detto che è preoccupatissima per il terrorismo di matrice islamica che sta insanguinando il mondo e ha fatto un'affermazione fondamentale: "Anche se ora, in questo momento, potessi avere tra le mie mani coloro che hanno ucciso mio marito, i miei figli e tutti i miei cari, in quel luglio maledetto a Srebrenica, non li ucciderei e non vorrei mai e poi mai vendetta nei loro confronti. Io tutto quello che chiedo è giustizia. E con me lo chiedono migliaia e migliaia di vedove e di orfane di Srebrenica".
Questo è l'insegnamento di saggezza di Hatiđa, che credo vada diffuso in una giornata simbolica come questa. Ma ricordiamoci che il 25 novembre non è solo oggi, è tutto l'anno. Per Hatiđa e per qualsiasi altra donna nel mondo. Diversamente, staremmo solo facendo - come troppo spesso accade - solo falsa e inutile retorica. Ci comporteremmo, insomma, non da esseri umani ma da politici...