Siccome però quest'anno non voglio essere io a parlare, lascio la parola a uno dei fascisti cattolici croati che nel 1993 parteciparono all'abbattimento dello Stari Most, e ne gioirono.
Si chiama Dubravko e vi propongo un pezzetto del suo monologo pubblicato ne I BASTARDI DI SARAJEVO. Da leggere con calma, rilassati, senza correre. Proviamo, che ne dite?
Zenica, da qualche parte
in città, maggio
– “Di tutto ciò
che l’uomo, spinto dal suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più
bello e più prezioso per me dei ponti. I ponti sono più importanti delle case,
più sacri perché più utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per
tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui s’incrocia la maggior
parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai
asserviti al segreto o al malvagio”. Bello, eh? Poi continua così, ascolta: “I
grandi ponti di pietra, grigi ed erosi dal vento e dalle piogge, spesso
sgretolati nei loro angoli acuminati, testimoni delle epoche passate, in cui si
viveva, si pensava e si costruiva in modo differente: nelle loro giunture e
nelle loro invisibili fessure cresce l’erba sottile e gli uccelli fanno il
nido”. Questa parte mi fa venire sempre la pelle d’oca. Notevole, no? E ancora…
aspetta che mi concentri… ah, sì: “I sottili ponti di ferro, tesi come filo da
una sponda all’altra, che vibrano ed echeggiano con ogni treno che li percorre,
come se aspettassero ancora la loro forma e perfezione finale. La bellezza
delle loro linee si svelerà del tutto solo agli occhi dei nostri nipoti. I
ponti di legno all’entrata delle cittadine bosniache le cui travi traballano e
risuonano sotto gli zoccoli dei cavalli, come le lamine di uno xilofono. E,
infine, quei minuscoli ponti sulle montagne, spesso solo e unico grande tronco
ovale, massimo due, inchiodati uno accanto all’altro, gettati sopra qualche
ruscello montano che senza di loro sarebbe invalicabile…”.
Poi continua
ancora.
Ti piace? Sai
chi ho citato a memoria?
Dai, almeno
muovi la testa avanti e dietro per dire di sì, a destra e a sinistra per dire
di no… neanche quello? Eppure hai gli occhi aperti… ma sei vivo? Mi pare di sì…
vivo e cosciente, direi…
Chi l’avrebbe
mai detto… un omone come te… così attivo! Così perspicace…! E così pesante,
aggiungerei…
Come cambiano
le cose, vero?
Cambiano anche
le prospettive, in questo momento. Almeno le tue… o no?
Dai, te lo
dico… ho citato Ivo Andrić. I ponti,
una cosa di inizio anni Sessanta del Novecento, pubblicata nei Racconti di Bosnia… non che vada pazzo
per Andrić, eh… precisiamo. Poi lui era di Travnik… bella città, mica no… la
nostra antica capitale… o forse dovrei dire la vostra…? Ma io sono di Mostar, e
quelli di Travnik mi stanno un po’ lì… abbi pazienza… e poi ormai sparare alla
memoria del povero Andrić è diventato sport nazionale… quindi…
Eh già… tu hai
scritto di Mostar, amico mio? Durante la guerra, intendo… Chissà cosa avrebbe
tirato fuori, Andrić, se ci fosse stato…! Ci sarebbe stato da ridere. Io c’ero,
sai? Me lo ricordo come fosse oggi: 9 novembre 1993. Boom! E il ponte non c’è più. E Predrag Matvejević e tutti questi
intellettualoni… pare che abbiano scritto, e scritto, e scritto… e che sarà mai
stato? Il ponte turco prima c’era, un attimo dopo, diradatasi la polvere e
spentasi l’eco del boato, non c’era più.
D’altronde, fino al sedicesimo secolo
non c’era… abbiamo semplicemente restaurato lo status quo ante… punto. Mangiato dalla Neretva. Ingoiato e
digerito. E invece, tutti quei discorsi: la barbarie, la civiltà, l’importanza
dei ponti, i ponti che uniscono ma a volte dividono, costruite ponti e non
muri, fate l’amore non la guerra… quante fesserie, amico mio! Quante fesserie,
non trovi? A Mostar la gente moriva come mosche, e tutti a parlare del ponte,
di ponti…
Ora ti racconto
un segreto. Pensa che, quando hanno inaugurato il nuovo Stari Most, ricostruito in tutta la sua magnificenza, noi croati
tosti di Mostar – era il luglio del 2004, se non sbaglio – abbiamo pensato di
fare uno scherzetto. Ma poi qualcuno forse l’avrebbe presa a male. Gli
americani sarebbero stati i peggiori. Quelli non hanno il sense of humour nero balcanico, te lo dico io… e allora, da
Zagabria, dove gli Yenkee comandano,
qualche cuor di leone ha bloccato tutto, abbiamo buttato la dinamite nella
Neretva – dove fino a dieci anni prima scaricavamo i cadaveri dei musulmani e
dove erano caduti i blocchi di pietra dello Stari
Most – e ci siamo rimessi l’anima in pace. E adesso c’hanno pure condannato
sei degli eroi che quel pontaccio l’hanno buttato giù. Dai dieci ai venticinque
anni di carcere per aver tirato qualche cannonata a una vecchia latrina
musulmana maleodorante. Ma chi l’avrebbe mai pensato…! Vent’anni al generale Slobodan Praljak, l’eroe della Herceg-Bosna…
quei parrucconi dell’Aja, quei culi di piombo…! Condannato solo per aver detto
la verità, cioè che quelle cazzo di pietre che abbiamo ributtato nel fiume – e
fatto tornare al loro stato originale: semplici, lisce e bianche pietre – non
valevano niente. E che può valere un sasso? Mica era fatto di diamanti, il
ponte…! Ma chissà che, prima o poi…
Aspetta, ho
perso il filo. Perché sono arrivato fin qui…?
Ah, Ivo Andrić…
poveraccio! Una vita passata a scrivere di ponti che uniscono, a fare il
panegirico di cotanta creazione umana… poi basta uno che la sera prima non ha
scopato, qualche cannonata ben assestata, un sergente artigliere con una buona
mira, un ordine via radio e… boom!
Viva la civiltà! Viva la polvere da sparo, amico mio!
Ora, tu ti
starai chiedendo: ma perché questo ce l’ha tanto con Andrić? Che cosa gli ha
fatto, il sarajevese nato a Travnik? [...]
Chi vuole sapere come va avanti il monologo deve avere il libro. Però una cosa sembra chiara: quello che parlava era un vero abbattitore di ponti fascista croato, come ce ne sono ancora tanti in circolazione, 22 anni dopo... perché in Bosnia e in Erzegovina giustizia, a oggi, non è stata fatta.