Come
da più giorni atteso, ieri il presidente di turno della presidenza tripartita
bosniaco-erzegovese, il croato-bosniaco Dragan Čović, ha presentato la richiesta
formale di adesione di Sarajevo all’Unione europea.
Grande
soddisfazione è stata espressa dal presidente della commissione per l’allargamento
della Ue, Johannes Hahn, e dall’Alto rappresentante per la politica estera
della Ue, Federica Mogherini. Se non altro, perché per la Ue di oggi, da cui in
tanti vorrebbero uscire, è una notizia controcorrente il fatto che qualcuno
voglia entrare, magari spinto dagli Stati Uniti, in questi anni di guerra
neanche troppo fredda con la Russia.
Di fatto,
la richiesta di adesione da parte di Sarajevo non cambia nessuna delle carte in
tavola. La Bosnia Erzegovina da anni deve approvare, attraverso un parlamento
semi-immobile a causa di coalizioni di maggioranza ingestibili e litigiose,
riforme in settori-chiave quali la giustizia, la lotta contro la corruzione, la
pubblica amministrazione, l’economia, il welfare, i diritti fondamentali della
persona, la libertà d’espressione e la libertà dei giornalisti (che ultimamente
sta vivendo un’erosione sempre più preoccupante, come ho già avuto modo di
denunciare ne “I bastardi di Sarajevo”).
La
richiesta di adesione non cambia un dato di fatto fondamentale: i politici e
gli amministratori bosniaco-erzegovesi sono tra i più corrotti al mondo e hanno
una visione personalistica e nepotistica della conduzione della cosa pubblica.
La maggior parte di loro lavora per il profitto personale e per l’interesse del
“clan” nazionalistico di riferimento. Il primo impegno, ai fini di un’eventuale
adesione, dovrebbe essere dunque proprio nella direzione di favorire (o,
meglio, indurre) il cambiamento della classe politica bosniaco-erzegovese e di promuovere
una rivoluzione culturale profonda nel Paese. Senza queste due prime riforme,
Sarajevo non sarà mai pronta per entrare nella Ue.
L’altra
questione fondamentale riguarda la deriva secessionista intrapresa dall’ultranazionalista
governo dell’entità a maggioranza serbo-bosniaca, la Repubblica serba di Bosnia
(Rs), sostenuta politicamente ed economicamente dalla Russia di zar Vladimir
Putin. Mosca non ha mai espresso pareri decisamente sfavorevoli verso un
ingresso della BiH nella Ue, questo è vero, mentre s’è sempre violentemente
opposta a un ingresso della Bosnia Erzegovina nella Nato. Ma Bruxelles dovrà
tenere conto delle ingerenze russe nella Repubblica serba di Bosnia e del fatto
che a Banja Luka esiste una forte corrente filo-russa e anti-europeista con cui
fare i conti. Il presidente della Rs, “l’orso” milionario Milorad Dodik, intimo
amico dello “zar” moscovita, non fa che lavorare incessantemente per la
dissoluzione della Bosnia e per l’impunità a favore dei criminali della guerra
del 1992-1995, apertamente spalleggiato dai russi, anche in sede di Nazioni
Unite. E l’Unione europea attuale, per quanto possa risultare attraente dall’esterno,
non ha strumenti adeguati per gestire le forze centrifughe che si manifestano e
lavorano al suo interno. E così come le ingerenze russe nella Rs rappresenterebbero
un peso ingestibile per la debole (eufemismo per dire inadeguata e assente) diplomazia
di Bruxelles, allo stesso modo risulterebbero ingestibili le pesanti ingerenze
turche, saudite e statunitensi nella seconda entità bosniaco-erzegovese, la
Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH).
L’ingresso
della BiH nell’Unione europea è al momento solo una lontana ipotesi e
occorreranno anni, forse decenni, prima che si realizzi, proprio perché non vi
sono le condizioni di partenza, a cominciare da una classe politica
presentabile. Discorso non diverso va fatto per gli altri Paesi ex jugoslavi
che hanno presentato, prima della Bosnia, richiesta di adesione, ovvero la
Macedonia (2004), il Montenegro (2008) e la Serbia (2009). Ecco, la richiesta
di adesione depositata ieri da Čović non ha tanto il
sapore di una promessa: vogliamo dare il massimo per farcela. Ha, più che
altro, il sapore di un riallineamento, di un colpo di reni per non dover
restare gli unici a non aver compiuto il passo e sfigurare davanti agli occhi
dei propri cittadini-elettori. Ma, di fatto, se oggi c’è un Paese (oltre
naturalmente alla Macedonia) in cui non esistono, nell’area ex jugoslava,
neanche nel lungo periodo, le condizioni per un reale ingresso nella Ue, quel
Paese è, purtroppo, proprio la Bosnia. Ironia della sorte, il Paese che forse,
in questo momento, più ne avrebbe bisogno e la cui popolazione più lo
meriterebbe per quello che ha dovuto vivere e subire negli ultimi cinque lustri.
E continua a subire a causa della cecità della comunità internazionale, Ue in
testa, e alla corruzione o corruttibilità della sua classe politica, della sua
polizia, della sua magistratura. Della sua stampa, sempre meno indipendente.
Per
saperne auspicabilmente di più, oltre a “I bastardi di Sarajevo”, consiglio vivamente (anche alla Mogherini) il mio “Bosnia express”.