Domenica
12 ottobre i bosniaci residenti in patria e all’estero sono chiamati a eleggere
i tre presidenti della presidenza tripartita, il parlamento nazionale, i
presidenti e i vicepresidenti delle due Entità (Repubblica serba di Bosnia e
Federazione di Bosnia Erzegovina), i rispettivi parlamenti, oltre che i
parlamenti e i governi dei dieci Cantoni che costituiscono la Federazione di
Bosnia Erzegovina. Un tremendo guazzabuglio creato a Dayton e lasciato in
eredità a un Paese prostrato dalla guerra del 1992-1995 e mai più ripresosi.
Gli aventi
diritto in patria sono circa 3,2 milioni, cui si aggiunge circa un altro milione
all’estero. Atteso – e benedetto dai partiti nazionalisti – un ampio fenomeno
di diserzione delle urne, come nelle cinque occasioni precedenti in cui sono
stati rinnovati gli organi di cui sopra, per tacere del crollo di affluenza alle
amministrative. Nel 2012, per fare un esempio, ha votato il 45 per cento scarso
degli aventi diritto.
I
partiti che hanno presentato candidati sono ben 65, molti dei quali riuniti in
ben 24 coalizioni. Per la sola
presidenza tripartita i candidati sono 17: dieci musulmani bosniaci per la
poltrona a loro riservato da Dayton, quattro croati-bosniaci e tre serbo-bosniaci.
Oltre
all’astensionismo, attesa una grande frammentazione del risultato, il che
potrebbe portare a tempi molto lunghi, come quattro anni fa, per la formazione
di un governo: allora servì circa un anno e mezzo.
Tra i
candidati alla presidenza molta attenzione è concentrata su un elemento di
disturbo per l’establishment
musulmano e per le lobby di potere
come l’ex giornalista Emir Suljagic, sopravvissuto al genocidio di Srebrenica,
esponente del Fronte democratico e ministro uscente del Cantone di Sarajevo,
dove ha presentato una proposta che ha fatto molto discutere, ovvero l’eliminazione
del voto in religione dal novero dei voti destinati a determinare la media
scolastica degli allievi. La proposta, manco a dirlo, è stata ampiamente
osteggiata dall’Ulema Mustafa Ceric, potentissimo esponente conservatore che
spera di catalizzare i voti dei praticanti musulmani. Chi vota per lui,
probabilmente spera nella trasformazione della Bosnia in uno Stato
confessionale, il che sarebbe un disastro nel disastro. Inutile dire che un’affermazione
del Fronte democratico, purtroppo molto difficile, rappresenterebbe un elemento
di rottura notevole e affascinante in uno scenario decadente, mummificato e non
di rado criminale come quello della politica bosniaca.