I
numeri della morte parlano di almeno 603 civili censiti, saltati sulle mine
dalla fine della guerra a oggi. Molti erano bambini. Quasi mille persone sono
sopravvissute all’incontro casuale e spaventoso con un ordigno bellico
inesploso, ma hanno subìto danni permanenti e amputazioni. Circa 830 di loro
sono stati trattati per la riabilitazione e l’impianto di arti artificiali in
Slovenia.
Se
nel mondo sono 59 i Paesi in cui esistono pericoli legati alle presenza di mine
anti-persona sul territorio, la Bosnia è il Paese più pericoloso d’Europa, in
materia. Eppure la Bosnia rimane un Paese meraviglioso, da visitare almeno una
volta. Ma poi è impossibile resisterle, quindi si torna e si ritorna. Non c’è
nulla da fare. Il mal di Bosnia non si vince. Si coccola. Si alimenta.
Questo
qualche dato su un Paese in cui circa duemila persone hanno scelto di fare gli
sminatori per mestiere, guadagnando 700 euro al mese per rischiare la vita ogni
singolo secondo. Di loro si parla in un articolo pubblicato in Bosnia sul Dnevnik. Ne sono già morti una
cinquantina. Anzi, 47. Nella tombola, un numero significativo: il morto che
parla. Ne moriranno altri. E nessuno se ne ricorderà, al di fuori dei loro
famigliari.
La
guerra non finisce con gli accordi di pace. La guerra continua, per anni, anche
in tempi di pace. La guerra non concede sconti e la sua lunga mano nera intrisa
di morte si allunga per anni, lustri, decenni sulle vite delle persone
sopravvissute. Meglio non dimenticarlo mai.