Il bullismo e cyberbullismo
sono forme di prevaricazione ai danni dei giovani, specialmente i più sensibili
e introversi, che si alimentano con le logiche di sopraffazione del branco.
Abbiamo scelto una delle storie raccontate da Luciano Garofano e Lorenzo
Puglisi nel libro, appena arrivato in libreria e con il patrocinio di Pepita
onlus, dal titolo La prepotenza invisibile, per far luce su questi fenomeni in
modo da contrastarli con l’arma più efficace, la consapevolezza.
Marco
(nome di fantasia per rispettare la privacy dei familiari) era un
diciassettenne di un popoloso paese dell’area metropolitana di Napoli e, come
ci racconta la madre, è sempre stato un bambino tranquillo, forse un po’
timido, ma sempre generoso e pronto a dare una mano in famiglia, titolare di
una piccola attività commerciale e, solo recentemente, di un campetto sportivo
che veniva affittato per le partite di calcio. (…) A scuola non ha mai dato
problemi, raggiungeva tranquillamente la sufficienza, ma viveva le scuole
superiori con molte difficoltà: tornava a casa spesso nervoso e sebbene avesse
qualche amico, non era solito frequentarli con continuità. Quando a casa
provavano a chiedergli se ci fossero dei problemi, alzava le spalle e non
rispondeva. Solo al fratello maggiore, cui era molto legato, aveva confidato
d’essere preso in giro da alcuni compagni, ma sembrava non dare grande
importanza alla cosa.
Secondo
la madre i problemi veri e propri si sono presentati tra il primo e il secondo
anno di Ragioneria: ci riferisce che a volte lo sentiva imprecare dalla sua
stanza e quando si affacciava per vedere cosa lo turbasse, lo trovava spesso
davanti al computer, ma le rispondeva male e la invitava ad andarsene. Di
fatto, aveva un solo amico da considerare come tale, perché tutti gli altri li
definiva soltanto degli stupidi. Al fratello aveva raccontato di una delusione
amorosa, ma che sembrava aver superato. La mamma ci ha mostrato una serie di
stampe tratte da alcune schermate del suo profilo Facebook, dove vi
erano alcune sue condivisioni contro il maltrattamento degli animali, video
familiari, ma anche un’infinità di link scaramantici inviategli
probabilmente dai compagni, in cui veniva intimato a condividere, tipo: se non
condividi tale link entro dieci secondi sarai bocciato, se non condividi
questo avrai cinque settimane di guai, se non condividi quest’altro morirai
entro un mese, etc. Nella stragrande maggioranza dei casi c’erano poi quelli in
cui si diceva che se non condivideva era gay. (…) Nessuno, in famiglia,
si dà pace per quanto è successo né si capacita ancora oggi di un gesto così
estremo che, secondo i genitori, sarebbe comunque dipeso da un’aumentata
pressione legata a ciò che gli veniva detto e fatto dai compagni. Perché Marco
era un ragazzo solare, dolce e gentile e sempre pronto ad aiutare chiunque ne
avesse bisogno, persino gli sconosciuti che gli chiedevano aiuto, ma gli ultimi
giorni di vita erano stati molto tormentati, era nervoso e non parlava più con
nessuno.
Arriviamo,
purtroppo, al suo ultimo giorno, raccontatoci in lacrime dai suoi genitori: era
una calda mattina dell’ottobrata napoletana del 2013 e come in tante altre
occasioni, dopo aver pranzato, il papà gli aveva chiesto di andare a preparare
il campetto di calcio poiché di lì a poco sarebbero arrivati i ragazzini per
giocare. Marco era stato sempre disponibile, ma questa volta la sua risposta fu
un inatteso e netto rifiuto, tanto da innescare un deciso battibecco, la
reazione d’ira del padre e la sua decisione di allontanarsi da casa senza che
nessuno capisse dove fosse diretto: verrà ritrovato dal padre qualche ora dopo
impiccato a una trave nella loro cantina con una corda che il papà aveva
riposto lì da qualche tempo.
Dopo
qualche giorno dalla sua morte i genitori hanno deciso di fare un post ai
suoi compagni sul suo account di Facebook: “Siamo i genitori di Marco
e vorremmo che voi amici ci parlaste di lui per come lo conoscevate, in tutte
le forme e modi possibili (e-mail, messaggi, anche anonimi, chat,
etc.): aiutateci a capire il perché del suo gesto estremo. Grazie, siamo in
attesa”. Solo 15 like, ma nessuna risposta.
Il
giorno del funerale erano presenti in massa, tutta la sua classe e anche molti
altri del suo istituto, sicuramente tristi e sorpresi, ma nessuno sembrava
mortificato o in difficoltà per qualcosa, e tranne qualche scontato messaggio
su Facebook, nessuno si è fatto più vivo.
Il testo sopra riportato è disponibile per la stampa
citando la fonte © Infinito edizioni 2016 (www.infinitoedizioni.it).