"I bastardi di Sarajevo” è un testo sorprendente. Innanzitutto a sorprendere è il modus narrandi e la maestria con cui Luca
Leone riesce a tenerlo dall’inizio alla fine. Più essenziale di quanto non lo
sia una sceneggiatura, lo sviluppo dei fatti si affida unicamente alle battute
fra i personaggi. Le immagini necessarie a comprendere dove si è e cosa succede
sono tutte nelle loro parole. Dialogo assoluto dalla prima all’ultima pagina,
dunque. Questo procedere, paragrafo dopo paragrafo, in un fiume in piena di
botta e risposta, senza la minima didascalia descrittiva, rende la lettura veloce,
gradevole, accattivante.
L’aspetto che più
si apprezza nella lettura del romanzo è l’equilibrio con cui tutti i pezzi si
tengono insieme. Equilibrati sono i piani dove si muovono i “bastardi” della
storia. Una sceneggiatura ben pensata, organizzata, solida. E soprattutto equilibrato
è il linguaggio, crudo quando deve, senza eccedere però in quella volgarità
gratuita che è scorciatoia degli scrittori che non sanno scrivere e tentazione
irresistibile per molti, pur bravi, che decidono di raccontare di un mondo
tanto maledetto.
Luca Leone nei
momenti in cui si trova costretto, dal suo stesso plot, a eccedere, ci regala la sensazione che sia volgare e
bastardo il personaggio che parla, e non lo sia la penna dello scrittore. È sottile
questa differenza e pare cosa da poco, ma è uno di quei sapori che
contribuiscono a fare di una buona storia, e questa lo è, una storia ben
scritta. Di questi tempi, non è cosa facile da trovare.
Daniele Zanon