Mi
sento toccare una spalla. Per una volta non si tratta di fascisti o
negazionisti o estremisti serbo-bosniaci desiderosi di esprimere convulsamente
ragioni per nulla condivisibili. Mi volto e incontro gli occhi visti e il viso
solare di un anziano signore che aveva partecipato attivamente all’incontro di
poco prima. Mi parla di sé. Racconta dei tanti anni in cui, come responsabile
commerciale di una grossa ditta lombarda, ha girato ininterrottamente Balcani e
Medio Oriente per vendere macchinari. Sono ricordi di pace e di guerra,
comunque carichi di nostalgia. Ogni tanto battibecca con la moglie, che tenta d’inserirsi
insistentemente nel suo monologo carico di nomi e di luoghi.
Improvvisamente,
s’illumina e mi dice: “So che deve partire e la libero subito, ma prima mi
permetta di farle un regalo”. Tira fuori dalla tasca il portafoglio e da dentro
vi estrae il suo portafortuna, che mi permette di fotografare. Si tratta del
biglietto d’ingresso per la partita amichevole svoltasi a Sarajevo il 15 giugno
1971 tra la locale squadra dei ferrovieri, il mitico Željezničar, e l’Inter, di
cui il mio nuovo amico è tifoso fin da bambino.
Si
commuove. Ricorda il viaggio di ritorno, le foto fatte in aereo con Facchinetti
e Burnich, quattro chiacchiere scambiate con Mazzola.
Altri
tempi.
Non
ricorda il risultato della partita, ma solo che vinse l’Inter. Purtroppo per
lui non andò così. La partita finì infatti 3-3, davanti a circa 50.000
spettatori in festa. Capitano dell’Inter, come si vede da questa foto d’epoca,
era Mazzola. Per i milanesi, avanti 3-2 al 67imo, segnarono due reti Boninsegna
e una Mazzola (il cui cognome era stato traslitterato dalla stampa sarajevese
dell’epoca in Macola).
La
formazione di Sarajevo scese in campo con questo undici: Janjuš, Kojović, Bećirspahić, Bratić,
Katalinski, Hadžiabdić, Jelušić, Janković, Bukal, Sprečo, Džajić.
La
formazione dell’Inter non l’ho trovata, ma quella squadra schierava, quell’anno,
oltre a Boninsegna e a Mazzola, anche gente come Jair, Corso, Facchetti,
Burnich, i giovani Oriali e Bordon, Lido Vieri, Bellugi, Bertini e tanti altri
ancora. Una vera corazzata.
Tutto
finito, purtroppo. Oggi restano le macerie del calcio e della Jugoslavia.
Nostalgia? Nessuna. Solo una semplice constatazione. Bisogna guardare al
futuro, ma la memoria va conservata e dalla storia si può imparare. Persino se
parliamo di calcio.