Abbiamo compiuto insieme un bel viaggio lungo un
mese. Grazie a chi ha inviato un suo testo, a chi ha letto, a chi ha rilanciato,
a chi ha riflettuto.
La pagina del genocidio di Srebrenica rimane aperta,
come resta aperta la pagina delle violenze commesse nella stessa area ai danni
dei civili serbo-bosniaci tra il 1992 e il 1993. Due piani giuridici diversi, ma
comunque due pagine della vergogna. Pagine tragiche per le quali ben pochi hanno
pagato e forse nessuno è destinato a farlo.
L’impunità ha vinto a Srebrenica e dintorni, almeno
fino a oggi. E questo dovrebbe preoccupare e inquietare tutti,
indipendentemente dal tifo di parte, che è e rimane qualcosa di stucchevole e,
a tratti, abominevole.
Nella zona di Srebrenica giacciono ancora circa la
metà dei quasi 8.000 desaparecidos
bosniaco-erzegovesi; e vive una parte dei circa 16.000 criminali che nel
conflitto del 1992-1995 s’è sporcata le mani di sangue e non ha mai pagato
neppure con un secondo di galera.
Bastano questi due dati a ricordarci il fallimento
della giustizia, sia bosniaca che internazionale, e la caducità di certe frasi
sussurrate al vento, come sempre: “Mai più”.
Per far sì che non accada mai più veramente,
bisognerebbe perseguire i colpevoli e lasciare scolpito finalmente nella pietra
il principio per il quale non si fanno sconti, e chi commette atrocità deve
pagare. Ma così non è e non sarà, e tra un anno ci ritroveremo a dire le stesse
cose di sempre, mentre i 16.000 di cui sopra si saranno goduti altri dodici
mesi di impunità.
Il nostro messaggio, per il secondo anno consecutivo,
attraverso questa iniziativa, è stato semplice e netto: Srebrenica non va
ricordata solo l’11 luglio, ma va ricordata sempre. E questo vale anche per
mille altre tragedie dell’umanità.
Grazie a chi ha voluto partecipare e gettare un
sassolino nello stagno. Peccato per chi, adducendo le scuse più fantasiose – “Ora
non ho tempo”, “Magari la prossima volta”, “Sto partendo, ma l’anno prossimo di
sicuro…”, “Te lo mando, come no…”, eccetera – non ha trovato dieci minuti per
scrivere un pensiero e magari durante tutto l’anno gioca a fare il paladino dei
diritti umani.
La strada è tracciata e si va avanti. Con chi ne ha
voglia e senza chi si riempie la bocca di slogan, salvo poi farsi semplicemente
gli affari suoi.
I chilometri e gli anni non possono rimuovere quel
che è accaduto: Srebrenica è là a ricordarcelo. Si tratta solo di voler
continuare a essere umani e mettercela davvero tutta perché non si smarrisca la
strada verso la giustizia e perché, davvero, non accada mai più.