Ho
sempre trovato il Ferragosto una festa piuttosto vuota e inutile. Da ragazzino
davo la colpa al fatto che, essendo nato il 20 agosto, Ferragosto era la formalizzazione
delle mie sfighe di figlio delle classi più basse che, in mancanza della
prospettiva di una pur microscopica vacanza, viveva un intero mese tra
solitudine e domande senza risposte. Da adolescente, naturalmente, la piega è
diventata ancor più brutta perché consideravo quella settimana tra il Ferragosto
e il mio compleanno una sorta di congiura intergalattica contro la mia poco
augusta e dimenticata persona. Tutti al mare e io a casa, qualche volta pure
senza cocomero…
Col
tempo ho capito che il Ferragosto non mi sarebbe andato mai a genio ma ho, al
contempo, imparato che a volte – tante volte – è molto meglio stare solo che
male accompagnato. E ho rivalutato il Ferragosto, ma non come festività, bensì
come momento per staccare la spina e isolarmi.
D’altronde,
se non negli astri, è scritto nella storia che il Ferragosto non può proprio
essere la mia festa.
Nato
come “riposo di Augusto”, festività istituita nel 18 avanti Cristo e che
coincideva in realtà con tutto il mese agostano, a partire dal 1°, nei tempi
più vicini a noi il Ferragosto ha assunto il significato di festa politica e
religiosa che non gli è, e non gli sarebbe dovuto rimanere, affatto proprio.
Lo
spostamento dal 1° al 15 agosto è stato deciso e imposto dalla Chiesa cattolica
nella sua mania di mettere la bandierina evangelizzatrice su qualsiasi
festività che potesse rievocare antichi culti pagani. Ecco allora la scelta del
Cupolone di far coincidere il Ferragosto con la giornata dell’Assunzione di
Maria, e così addio ricorrenza laica.
Il
secondo motivo che allontana decisamente da me questa festività è il fatto che
la tradizione popolare del Ferragosto sia stata fatta nascere dal ticket fascismo-Vaticano. È dalla
seconda metà degli anni Venti del Novecento, infatti, che il Ferragosto diventa
festività popolare. A partire da quegli anni, il regime mussoliniano organizza
le prime grandi gite popolari di massa, gestite dalle associazioni
dopolavoristiche, uno dei tanti mezzi di controllo sociale inventati dal
fascismo, mentre i manganelli già da tempo spaccavano teste. Le associazioni
caricavano in massa i lavoratori e i loro famigliari sui cosiddetti “Treni
popolari del Ferragosto”, altra amena invenzione fascista, e il fine del tutto
era far conoscere ai cittadini del Regno più svantaggiati economicamente alcune
grandi città italiane oppure rinomate località di mare o di montagna. Nata come
gita di un sol giorno, di solito interessata da una percorrenza intorno ai 50
chilometri, comunque mai superiore ai cento chilometri, in breve si trasformò,
per le associazioni dopolavoristiche più organizzate, in gita di ben tre giorni
(tradizionalmente dal 13 al 15 agosto) con una percorrenza non superiore ai 200
chilometri (d’altronde, mica era vero che i treni fascisti arrivavano sempre in
orario…). Sembra un film del ragionier Ugo Fantozzi, ma è invece triste storia
italiana di regine. Ma c’è di più. Ovvero, un problema mica da poco: in gita
sì, e anche spendendo il minimo; per le gite più lunghe, ok a una qualche
soluzione di pernottamento, spesso molto arrangiata e con non pochi problemi in
termini di gestione del bagno e dell’igiene personale. Ma il cibo? Ebbene, il
fascismo non prevedeva anche il vitto. Assolutamente no. E allora ecco esplodere
l’innata creatività popolare. Non mi dai da mangiare? E io me lo porto da casa!
Ecco dunque nascere, come necessità ormai diventata costume, il pasto al sacco,
che può essere merenda, pranzo o anche tutti e due, e persino tutti e due più
la cena, a seconda della durata della gita di regime.
Allora,
con gli anni ho capito che una festività fascio-cattolica per evangelizzare
prima, per normalizzare poi e, se necessario, per ammorbidire a manganellate le
teste, non va celebrata, ma avversata. E così è stato finora e sempre sarà.
Abbasso il Ferragosto.
Senza se e senza ma!