“Ai
solenni funerali arrivano quattro re, 31 presidenti, 22 primi ministri e 47
ministri degli Esteri, provenienti da 128 Paesi. Sono presenti, tra l’altro,
Sandro Pertini, Enrico Berlinguer, Bettino Craxi, il leader palestinese Yasser Arafat, la premier britannica Margaret Thatcher, la presidente del Parlamento
europeo Simone Weil, il cancelliere tedesco Helmut Schmidt, il primo ministro
indiano Indira Gandhi, Andrej Gromiko e Leonid Brežnev in rappresentanza
dell’Urss. Dalla Francia arrivano François Mitterand e Lionel Jospin in
rappresentanza del Partito socialista francese. Non partecipano il presidente
statunitense Jimmy Carter e quello francese Giscard d’Estaing, quest’ultimo per
l’appoggio prestato dalla Jugoslavia al Fronte di liberazione algerino. Assente
anche il premier albanese Enver Hoxha
per i noti antichi dissidi col Maresciallo. L’omaggio dei tanti capi di Stato e
autorità è l’estremo riconoscimento a un vero punto di riferimento nelle
relazioni internazionali, all’uomo che si oppose a Hitler e seppe dire di no a
Stalin. Con la sua morte nel Paese si apre un periodo di grave incertezza”.
Una testimonianza diretta della cerimonia funebre del
maresciallo Tito ci arriva da Jasmina Tesanovic, che l’ha raccontata per noi
nel suo libro dal titolo La mia vita senza di me,
una cavalcata
nella storia balcanica lunga mezzo secolo intrisa di nero humour balcanico che vi farà capire, riflettere, ridere, a
tratti impressionare.
“Quando il corpo senza
vita di Tito fu esposto al pubblico, vivevo a Belgrado, dietro il Parlamento.
Tutti i diplomatici stranieri passarono per quella stretta stradina per
rendergli omaggio. È stato effettivamente la più alta figura planetaria nella
diplomazia della guerra fredda, grande per carisma, grande nel sotterfugio…
grande nel tenere saldamente al guinzaglio i suoi selvaggi popoli jugoslavi.
Mi misi in spalla la telecamera, pronta a filmare dalla mia
terrazza il re di Spagna. Ma arrivò immediatamente la polizia, credendo che la
mia telecamera fosse un mitra. La sequestrarono. E siccome m’annoiavo, me ne
andai a letto. I miei genitori
cominciarono a urlare: – Sei proprio una
bestia! C’è gente che piange in tutto il Paese, e tu te ne stai a dormire!
Avevo un bisogno così urgente di dormire da sentirmi male.
Era come una catatonia, non riuscivo a trovare il mio ruolo in quell’isteria
collettiva. Non sembrava reale, ma non avevo modo di scappare. Il mio unico
rifugio era nascondermi in me stessa. Così dormii per ventiquattro ore
nonostante le urla, gli strattoni, gli insulti.
Quando mi svegliai, il funerale era finito. Mio padre non mi
parlò per una settimana intera mentre mia madre mi trattava da una buona a
nulla, da sporca apolitica. Mi sentivo male, ma non ero dispiaciuta. Era il mio
coming-out da dissidente”.