Quasi la metà degli stati
dell’Unione europea ha violato la sospensione dei trasferimenti di armi
all’Egitto decisa dalla stessa Unione europea, rischiando così di rendersi
complice di un’ondata di uccisioni illegali, sparizioni forzate e torture.
Nonostante la sospensione,
imposta dopo che nell’agosto 2013 centinaia di manifestanti erano stati uccisi
in un’esibizione di uso gravemente eccessivo della forza, 12 stati dell’Unione
europea su 28 sono rimasti tra i principali fornitori di armi ed
equipaggiamento di polizia all’Egitto. Vi è il timore che i ministri degli
Esteri dell’Unione europea decidano presto di abolire l’attuale, già
insufficiente, sospensione.
“Quasi tre anni dopo il
massacro che spinse l’Unione europea a chiedere agli stati membri di sospendere
i trasferimenti di armi all’Egitto, la situazione dei diritti umani nel paese è
peggiorata” – ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice ad interim del
programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
“La repressione interna da
parte delle forze di sicurezza resta elevata e praticamente nessuno è chiamato
a risponderne. L’uso eccessivo della forza, gli arresti arbitrari di massa, la
tortura e le sparizioni forzate fanno ormai parte del modus operandi delle
forze di sicurezza” – ha proseguito Mughrabi.
“Gli stati membri
dell’Unione europea che trasferiscono armi ed equipaggiamento di polizia alle
forze egiziane, responsabili di sparizioni forzate, torture e arresti arbitrari
di massa, stanno agendo in modo sconsiderato e rischiano di rendersi complici
di queste gravi violazioni dei diritti umani” – ha aggiunto Mughrabi.
La complicità dell’Unione
europea nella repressione
Solo nel 2014, gli stati
dell’Unione europea hanno emesso 290 autorizzazioni all’esportazione di
forniture militari all’Egitto, per un valore di oltre sei miliardi di euro, tra
cui piccole armi, armi leggere e relative munizioni, veicoli blindati,
elicotteri, armi pesanti per operazioni anti-terrorismo e tecnologia per la
sorveglianza.
Gli stati membri
dell’Unione europea che hanno inviato armi all’Egitto, direttamente o tramite intermediazione,
sono: Bulgaria, Cipro, Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito,
Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Spagna e Ungheria.
Secondo l’ong Privacy
International, aziende di vari paesi europei tra cui Germania, Italia e Regno
Unito hanno inviato all’Egitto tecnologia e strumentazioni sofisticate per
svolgere attività di sorveglianza. Amnesty International teme che queste
forniture siano state usate contro il dissenso pacifico e per violare il
diritto alla riservatezza.
La violenta repressione
contro il dissenso
Negli ultimi anni le
autorità egiziane hanno portato avanti una campagna repressiva, con la scusa
del ripristino della stabilità dopo che, nel luglio 2013, l’esercito aveva
deposto il presidente Mohammed Morsi. Le drastiche misure introdotte hanno
comportato l’uso arbitrario ed eccessivo della forza mediante l’impiego di armi
da fuoco, veicoli blindati e altro equipaggiamento e hanno causato l’uccisione
di centinaia di manifestanti. Migliaia di persone sono state arrestate e processate
in modo gravemente iniquo. I detenuti hanno regolarmente denunciato
maltrattamenti e torture.
Le forze di sicurezza hanno
minacciato e anche fatto ricorso all’uso delle armi per incutere paura a coloro
che intendevano contestare in modo pacifico la legittimità del governo in
carica o criticare pubblicamente le sue politiche. La nuova legge sulle
proteste del novembre 2013 e quella contro il terrorismo dell’agosto 2015 hanno
di fatto autorizzato l’uso eccessivo della forza.
Le forze di sicurezza
egiziane sono regolarmente dotate di pistole e carabine. Inoltre, per
disperdere la folla, usano spesso bastoni, fucili, cannoni ad acqua e gas
lacrimogeni e sono appoggiate da vari tipi di veicoli blindati. La legge sulle
proteste del 2013 le autorizza a rispondere “in modo proporzionato” all’uso
delle armi da fuoco da parte dei manifestanti al fine di proteggere vite,
denaro e proprietà, in violazione degli standard internazionali che permettono
l’uso della forza letale solo in caso di imminente minaccia alla vita o di
gravi ferite alle persone.
Dall’entrata in vigore
della legge, le forze di sicurezza hanno regolarmente fatto ricorso alla forza
eccessiva per sciogliere brutalmente le proteste, spesso con esiti mortali. Nel
gennaio 2015 sono morti almeno 27 manifestanti. Tra questi, Shaimaa al-Sabbagh,
attivista politica, poetessa e giovane madre, uccisa da un agente di polizia al
centro del Cairo. Nonostante le immagini della sua morte siano diventate virali
e abbiano provocato uno scandalo internazionale, l’agente originariamente
giudicato responsabile ha ottenuto l’annullamento della condanna, da parte
della Corte suprema, ed è ora in attesa di un nuovo processo.
Le forze di sicurezza,
armate di tutto pugno, hanno condotto arresti di massa nei confronti di persone
che avevano criticato il governo e oppositori politici: secondo un funzionario
del ministero dell’Interno citato dalla stampa egiziana, nei primi 10 mesi del
2015 gli arresti sono stati quasi 12.000. Nel gennaio 2016, in occasione del
quinto anniversario della rivolta del 2011, sono state perquisite oltre 5000
abitazioni nei centro del Cairo e sono stati arrestati numerosi attivisti.
Il 25 aprile 2016 le forze
di sicurezza hanno arrestato centinaia di persone e disperso le proteste, in
larga parte pacifiche, organizzate contro la decisione del governo di cedere
due isole del mar Rosso all’Arabia Saudita. Tra gli arrestati, anche difensori
dei diritti umani, attivisti e giornalisti. Il 14 maggio oltre 150 imputati
sono stati condannati a pene da due a cinque anni di carcere per aver preso
parte alle proteste.
Nell’ultimo anno si è
registrata un’ondata di sparizioni forzate. Centinaia di persone sono state
catturate da personale armato delle forze di sicurezza, hanno trascorso lunghi
periodi di tempo senza contatti col mondo esterno e sono state torturate per
“confessare” reati di terrorismo.
L’impunità per le gravi
violazioni dei diritti umani commesse durante e dopo la rivolta del 2011 è
costante. Le autorità egiziane non hanno mai condotto indagini efficaci,
indipendenti e imparziali sulle centinaia di casi di sparizioni forzate,
torture e uccisioni illegali documentate dalle organizzazioni per i diritti
umani.
Operazioni militari nel
Sinai
L’esercito egiziano è
sempre più coinvolto in operazioni militari contro i gruppi armati,
responsabili di attacchi contro civili e forze di sicurezza soprattutto nel
nord della penisola del Sinai. In queste operazioni, l’esercito del Cairo usa
armi pesanti, come veicoli blindati, carri armati, elicotteri Apache e aerei da
combattimento F-16. Amnesty International è preoccupata per la totale mancanza
di trasparenza su queste operazioni, sulle quali è stato anche imposto un
black-out ai mezzi d’informazione. A giornalisti e organismi indipendenti della
società civile è vietato l’ingresso nell’area.
Gli stati dell’Unione
europea hanno autorizzato trasferimenti di armi pesanti ed equipaggiamento
militare, ufficialmente per aiutare l’Egitto nella lotta contro il
“terrorismo”, nonostante la mancanza di trasparenza e di garanzie sul rispetto
dei diritti umani nel corso del loro impiego. Ciò è motivo di grande
preoccupazione, a causa della completa impunità per le violazioni dei diritti
umani commesse nel periodo di governo militare dopo la rivolta del 2011.
L’Unione europea alimenta
la repressione interna
Mentre la documentazione
disponibile mostra che molti stati dell’Unione europea hanno del tutto ignorato
la richiesta del 2013 di sospendere i trasferimenti di armi all’Egitto, vi è il
timore che i prossimi colloqui in materia portino ad alleggerire se non
addirittura ad abolire la sospensione. La decisione dello scorso anno degli
Usa, che hanno ripristinato gli aiuti militari all’Egitto per un valore di 1,3
miliardi di dollari l’anno, rischia di essere imitata.
“Fornire armi probabilmente
destinate ad alimentare la repressione interna va contro il Trattato sul
commercio di armi, vincolante per tutti gli stati dell’Unione europea, e viola
la Posizione comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armi” – ha
sottolineato Brian Wood, direttore del programma Controllo delle armi e diritti
umani di Amnesty International.
“L’Unione europea dovrebbe
imporre immediatamente un embargo su tutti i trasferimenti delle armi e degli
equipaggiamenti usati dall’Egitto per commettere gravi violazioni dei diritti
umani. L’Unione europea e i suoi stati membri dovrebbero cessare di premiare il
cattivo comportamento della polizia e dell’esercito del Cairo con una manna di
forniture di armi” – ha concluso Wood.
Esempi di forniture di armi
che potrebbero essere usate per la repressione interna
Bulgaria: nel 2014 ha
emesso 59 autorizzazioni per un valore di 51.643.626 euro, 11 milioni dei quali
relativi a piccole armi, armi leggere e relative munizioni. Nel dettaglio, sono
stati esportati 10.500 fucili d’assalto, 300 mitragliatrici e 21 fucili
automatici.
Francia: nel 2014 ha emesso
autorizzazioni per un valore di oltre 100 milioni di euro riguardanti “bombe,
siluri, missili e altri ordigni esplosivi”, e “veicoli terrestri e relative
componenti”, tra cui 100 camion Sherpa, che vengono pubblicizzati come veicoli
per le forze di sicurezza.
Italia: secondo il diciassettesimo rapporto annuale
dell’Unione Europea, nel 2014 l’Italia ha emesso 21 autorizzazioni per un
valore di 33,9 milioni di euro di attrezzature militari verso Egitto, di cui
oltre 15 milioni di euro di armi leggere. Nel 2015, l'Italia ha inviato in
Egitto 3.661 fucili e accessori per un valore di oltre 4 milioni di euro; 66
pistole o rivoltelle del valore di 26.520 euro insieme a 965.557 euro di parti
ed accessori per pistole e rivoltelle. Nel 2016, l'Italia ha già registrato
l'esportazione di 73.391 euro di esportazioni di pistole e rivoltelle
all’Egitto. Secondo Privacy International, l’azienda italiana Hacking team ha
fornito ai servizi segreti egiziani sofisticate tecnologie di sorveglianza.
L'azienda ha dichiarato che il trasferimento è stato autorizzato dal governo
italiano.
Repubblica Ceca: regolare
fornitore di piccole armi al Cairo, nel 2014 ha emesso 26 autorizzazioni per un
valore di 19,9 milioni di euro, la maggior parte relativi a piccole armi e
munizioni. Il governo ha informato le Nazioni Unite di aver esportato in
Egitto, tra il 2013 e il 2015, 80.953 pistole e rivoltelle. Nel 2014 il
ministero dell’Interno egiziano ha ordinato a una fabbrica ceca 10 milioni di
cartucce calibro 9.
Richieste di Amnesty
International all’Unione europea e agli stati membri
1. Imporre e applicare
rigorosamente un embargo vincolante nei confronti dei trasferimenti di
equipaggiamento di sicurezza e di polizia all’Egitto, relativamente ai tipi
di armi usate per compiere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani. Non
farlo rischierebbe di violare la Posizione comune dell’Unione europea sulle
esportazioni di armi così come le disposizioni sui diritti umani del Trattato
sul commercio di armi.
2. Stabilire una prassi
di “presunzione di diniego” sui trasferimenti di armi destinati alle forze di
terra e alle forze aeree dell’Egitto. Le denunce relative ad attacchi aerei
che hanno causato morti e feriti non sono state sottoposte a indagini efficaci,
indipendenti e imparziali. Le violazioni dei diritti umani commesse
dall’esercito durante la rivolta del 2011 e nel successivo anno di governo
militare non sono state a loro volta indagate. Questo genere di esportazioni
non dovrebbe essere autorizzato a meno che un’analisi del rischio basata sui
diritti umani non dimostri che il destinatario le userà in modo legale e nel
rispetto dei suoi obblighi internazionali sui diritti umani e a meno che lo
stato esportatore e il governo egiziano non sigleranno su quanto sopra una
garanzia vincolante.
3. Mantenere l’embargo e
la prassi di “presunzione di diniego” fino a quando le autorità egiziane non
porranno in essere garanzie efficaci per impedire ulteriori violazioni dei
diritti umani da parte delle forze di sicurezza e non condurranno indagini
approfondite, rapide, indipendenti e imparziali sulle violazioni che hanno
avuto luogo a partire dalla rivolta del 2011, al fine di portare a giudizio i
responsabili nel corso di processi equi.