Sabato
14 maggio Banja Luka vedrà sfilare per le strade due manifestazioni che si
preannunciano imponenti e non prive di grattacapi per la dirigenza dell’Entità
della Repubblica serba di Bosnia (Rs). Una delle due manifestazioni sarà contro
l’operato dell’onnipotente presidente-padrone Milorad Dodik e del suo governo,
la seconda sarà invece a supporto dell’esecutivo. Dodik e i suoi non sono
abituati a fronteggiare un’aperta contestazione popolare (aperta ma
sapientemente orchestrata dall’opposizione politica) e questo preoccupa non
poco anche Belgrado, la sorella maggiore serba. Il primo ministro serbo
Aleksandar Vučić, fresco dominatore delle elezioni politiche e astro ormai
consolidato del nazionalismo di governo di Belgrado, ieri ha espresso le sue
preoccupazioni, invitando “tutti i politici della Rs a pensare con senso di
responsabilità al futuro della Rs e a rendersi conto che scontri e incidenti
potrebbero mettere in pericolo l’esistenza stessa della Republika Srpska,
ponendo al tempo stesso la Serbia in una situazione difficile”.
Vučić,
come d’altronde il presidente serbo Nikolić, parla come se la Bosnia Erzegovina
come stato non esistesse. E invece esiste, nonostante questo crei ancora
parecchia acidità di stomaco sia a Belgrado sia (bene non dimenticarlo) a
Zagabria. L’unica preoccupazione di Belgrado è per un’entità amministrativa,
ovvero la Rs, provincia staccata e dolente della Serbia. Detto da un primo
ministro che starebbe lavorando per guidare la Serbia nell’Unione europea,
quindi per far entrare il suo Paese in una famiglia ben più grande, questo non
può che far preoccupare. Persino la signora Mogherini.
È di
non più di due giorni fa la polemica a distanza tra il presidente serbo Nikolić
e quello di turno della presidenza tripartita bosniaca, il nazionalista e
populista musulmano bosniaco Bakir Izetvegović. Secondo il primo, la politica
del governo centrale bosniaco danneggia il presente e il futuro della Rs. A
detta del secondo, il nazionalismo serbo-bosniaco e la cieca opposizione a
tutto quel che viene deciso a Sarajevo danneggia la Bosnia Erzegovina nella sua
(complicata) strada verso l’Unione europea. Incredibilmente, hanno ragione
tutti e due. I due politici, esponenti di due nazionalismi dilanianti di segno
opposto, faticano però ad andare a fondo nell’analisi e a tirare le somme: la
colpa dell’impasse della Bosnia
Erzegovina è solo ed esclusivamente di quelli come loro. Se si facessero da
parte, come d’incanto molti problemi sarebbero risolti e sia la Bosnia che la
Serbia potrebbero procedere più serenamente nel loro percorso inevitabile verso
la Ue.