Secondo
un rapporto stilato dallo Un Office of Internal Oversight Services delle
Nazioni Unite, sarebbero ben 480 i casi di violenza sessuale e di sesso in
cambio di favori di cui si sono macchiati i caschi blu dell’Onu nel quadriennio
2010-2013. Il Sudafrica ha il maggior numero di accusati, nove, seguito dall’Uruguay
(otto), dalla Nigeria (sette), dal Pakistan (quattro) e dall’India (tre). Tutti
Paesi in cerca di visibilità internazionale e di fondi, che risultano infatti
tra i principali fornitori di soldati ai contingenti Onu. Basti pensare che la
sola India – dove il rapporto ha destato molto scalpore – fornisce circa 7.200
elementi delle sue forze armate alle Nazioni Unite come caschi blu.
La
cifra – 480 casi – è molto alta, ma purtroppo è probabile che si tratti solo
dalla punta dell’iceberg. Questo per
diverse ragioni. Innanzitutto, per la consueta reticenza dei comandi a
denunciare abusi e violenze da parte dei loro militari. Poi per la paura che
molte vittime hanno di denunciare, per le intimidazioni che le vittime
subiscono o per la mancanza di testimoni. Non è difficile pensare, vista la
quantità degli scenari di guerra in cui i caschi blu sono purtroppo a oggi attivi,
che quella drammatica cifra possa essere moltiplicata per dieci, e forse ci
troveremmo davanti ancora a un arrotondamento per difetto.
Non è
la prima volta che ci troviamo di fronte a fatti del genere e, purtroppo, non
sarà l’ultima. I Balcani e la Somalia, tanto per fare due esempi, ci hanno
aperto gli occhi sulla vigliaccheria di tanti caschi blu e su come ci sia molto
da cambiare.
Sul
dramma dello stupro da parte dei militari ai danni di vittime civili, e in
particolare su questi atti odiosi compiuti da soldati uruguayani, consigliamo
vivamente la lettura di Anahí del mare, di Anna Milazzo
(Infinito edizioni).