Si
celebra il 20 giugno la Giornata mondiale del Rifugiato, promossa dall’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). Numeri
impressionanti sono raccolti nel rapporto stilato dall’Unhcr: 60 milioni di persone, 8,3 milioni più dello scorso anno, 23 milioni più
di dieci anni fa. Sono uomini, donne e soprattutto bambini, oltre la metà, i
rifugiati, richiedenti asilo, sfollati e apolidi nel mondo nel 2014.
Abbiamo chiesto al nostro autore e storico
Enzo Barnabà, che ha sapientemente raccontato di quando i migranti eravamo noi,
nelle saline francesi di fine Ottocento in Aigues Mortes, il
massacro degli italiani tra
pochi giorni in libreria, una breve riflessione.
“Io vivo a
Grimaldi a poche centinaia di metri da Ponte San Ludovico, dove la polizia
francese sta bloccando i migranti. Voglio riferire un episodio occorsomi
qualche giorno fa. Ero davanti alla porta di casa quando, dal sentiero che sale
su verso il paese vedo arrivare tre giovani di colore (due ragazzi e una
ragazza) che fanno cenno di volermi parlare. Hanno una ventina d'anni e sono
probabilmente eritrei. Li aspetto. Quando sono vicini, uno dei ragazzi mi dice
"church, church" e, per farmi meglio
capire, giunge le mani e fa per inginocchiarsi. Gli faccio cenno che ho capito
e gli indico la direzione della chiesetta del paese che si trova a un centinaio
di metri. Mi ringraziano chinando il capo e si avviano in quella direzione. Chissà quante volte - dico tra me e me -
attraversando il Sahara o il Mediterraneo su incerti barconi, avranno fatto
quanto si accingono a fare.
Successivamente,
non li ho più visti passare. Probabilmente non sono ritornati sugli scogli della
frontiera e hanno continuato il loro cammino prendendo il sentiero che va verso
nord e che poi, attraversata la passerella sul torrente, si inerpica verso
ponente, sfiora il Passo della Morte e arriva a Garavan, il quartiere di
Mentone più vicino all’Italia. È il “Sentiero della Speranza” che da più di un
secolo viene percorso da chi spera di trovare al di là della frontiera una vita
migliore: antifascisti, ebrei, migranti economici di ogni nazionalità. A decine
si contano i decessi di chi ha sbagliato strada ed è precipitato dalle falesie
che guardano il mare. L’ultimo italiano si chiamava Mario Trambusti, un giovane
panettiere di Bagno a Ripoli. Più fortuna ha avuto Robert Baruch, ebreo
meranese, che ha potuto sfuggire alle leggi razziali percorrendo lo stesso
cammino e della cui esistenza, giunto a Nizza, si è affrettato, mediante uno
schizzo, a informare la propria comunità. Il problema, giunti in Francia, era
quello di non essere ricacciati indietro dalla polizia. Lo stesso rischio che
hanno corso i tre giovani eritrei”.