Srebrenica, l’11 luglio del 1995. Oltre diecimila
maschi tra i 12 e i 76 anni vengono catturati, torturati, uccisi e inumati in
fosse di massa. Stesso destino hanno alcune giovani donne abusate dalla
soldataglia. Le vittime sono bosniaci musulmani, da oltre tre anni assediati
dalle forze ultranazionaliste serbo-bosniache agli ordini di Ratko Mladić e dai
paramilitari serbi.
Abbiamo chiesto al calciatore della Nazionale
della Bosnia Erzegovina Miralem
Pjanić di parlarci dei suoi ricordi di quegli anni.
Quando
è scoppiata la guerra in Bosnia avevi due anni, quando è terminata ne avevi
cinque. Impossibile ricordare direttamente, dunque. Hai trascorso quegli anni,
e quelli del dopoguerra, all’estero. Durante la tua crescita, nella tua
famiglia, si parlava della guerra? In altre parole, quando hai “scoperto” cosa
era successo nel tuo Paese durante gli anni della tua infanzia? E che
impressione ti ha fatto?
Non
ho ricordi della guerra, sono andato via dalla Bosnia nel 1991 e sono tornato
per la prima volta nel 1996. Ricordo che i tank a distanza di anni
passavano ancora in città per rassicurare la gente… Ero piccolo e
impressionato, quando sono cresciuto ho appreso meglio le vicende della storia,
è stata una cosa bruttissima, è morta tanta gente. Mi raccontano spesso del
genocidio di Srebrenica, una storia molto triste. Un giorno andrò a Srebrenica
per vedere e sentire.
Hai
giocato con la nazionale Under 18 del Lussemburgo e, in teoria, avresti potuto
prendere cittadinanza francese (eri arrivato al Metz ancora minorenne) e
sicuramente saresti diventato una colonna di quella nazionale. Cosa ti ha
spinto a giocare nella “tua” nazionale?
È
vero, avevo la possibilità di giocare sia per la Francia sia per il
Lussemburgo. Ma a spingermi è stato il mio cuore. Sognavo di aiutare il mio
Paese a diventare calcisticamente forte come gli altri. Volevo che si parlasse
bene della Bosnia. Volevo donare un sorriso alla gente. La gente bosniaca ha
sofferto tanto. I calciatori sono amati e ogni volta che vengo chiamato do il
massimo per vincere. Penso e spero che i tifosi possano dimenticare per qualche
ora i problemi della quotidianità e divertirsi un po’, quando giochiamo.
Della
nazionale della Bosnia Erzegovina fanno parte calciatori appartenenti alle
diverse comunità del Paese. Come sono i rapporti personali? Il tema di una
guerra terminata meno di vent’anni fa influisce? Avete mai parlato di
Srebrenica?
Lo
sport unisce le persone. È così anche da noi, non c’è mai stato nessun
problema. Tutti coloro che vengono a giocare per la Bosnia sono i benvenuti.
L’unica cosa che conta è che vogliano il bene della Nazionale. Onestamente non
parliamo troppo di quello che è accaduto. Ogni tanto ascoltiamo i racconti di
qualche giocatore cresciuto in Bosnia durante la guerra. Non deve essere stato
facile per loro…
Il testo
di Pjanić è raccolto interamente in Srebrenica.
La giustizia negata, e può essere liberamente utilizzato
dalla stampa a questo link citando la fonte ©Infinito edizioni
– 2015.
Srebrenica.
La giustizia negata è il lavoro di Riccardo Noury e Luca
Leone i quali penetrano nel buco nero della guerra e del dopoguerra
bosniaco e nel vuoto totale di giustizia che ha seguito il genocidio di
Srebrenica, una delle pagine più nere della storia europea del Novecento e
sicuramente la peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale.