La terza camera di giudizio del
Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia
(Tpi) ha condannato oggi pomeriggio in primo grado l’ex presidente dell’autoproclamata
Repubblica serba di Bosnia (Rs), Radovan Karadžić, a quarant’anni di carcere in
qualità di supremo comandante delle forze armate serbo-bosniache per genocidio
(quello di Srebrenica), crimini contro l’umanità e violazione delle leggi sulla
detenzione dei prigionieri di guerra.
“In
qualità di presidente della Rs e comandante supremo del Vrs (le forze armate
dell’entità serbo-bosniaca, N.d.r.), l’accusato era l’unica persona nella Rs
con il potere d’intervenire per prevenire che i bosniaci musulmani di sesso
maschile potessero essere uccisi”, ha detto il presidente della Corte, giudice
Kwon, in riferimento ai fatti di Srebrenica.
Il
condannato ha ora la possibilità di ricorrere in appello contro una condanna
destinata a provocare parecchie polemiche: insufficiente (e destinata a essere
ridimensionata forse in appello) per i più, di certo ingiusta per il mondo
ultranazionalista ortodosso, serbo, greco e russo in testa.
Il
processo di primo grado contro Karadžić – arrestato il 21 luglio 2008
a Belgrado – è cominciato il 26 ottobre 2009 e si è svolto nel corso di 498 udienze.
Circa 11.500 le prove ammesse in aula, 586 i testimoni ascoltati, dei quali 337
chiamati a testimoniare dalla procura generale, 248 dalla difesa e uno dalla
Corte stessa.
Quello contro Karadžić è il
centoquarantanovesimo processo giunto a sentenza presso il Tpi dal maggio del
1993, quando il Tribunale fu fondato. A oggi, sono 161 i processati dalla
Corte. Sono al momento in corso dodici procedimenti contro altri accusati, tra
i quali Ratko Mladić.