Arthur
Conan-Doyle è stato uno dei geni inimitabili della letteratura moderna e credo
che, nei generi che ha creato dal nulla, ancora oggi non sia stato eguagliato
da nessuno.
Conan-Doyle
era, in qualche modo, un predestinato. Nato nel 1859, l’anno in cui Darwin
pubblicò il suo fondamentale saggio sulla Origine
delle specie, il giovane Arthur si laureò in Medicina all’Università di
Edimburgo nel 1885 e poi, spirito ribelle, s’imbarcò su una baleniera come
medico di bordo. Al suo rientro in Europa, si trasferì in Inghilterra e aprì
uno studio a Southsea, ma con scarso successo dal punto di vista del numero di
pazienti e delle soddisfazioni professionali.
Durante
i non infrequenti periodi di inattività professionale cominciò a scrivere.
Tanto. Ma con scarso successo. Il soggetto preferito dei suoi esperimenti
letterari si chiamava Sherlock Holmes, la cui idea nasce dalla stima che
Conan-Doyle aveva per il suo amico e collega Joseph Bell, abilissimo nel
dedurre dai minimi dettagli le caratteristiche psico-fisiche dei suoi pazienti.
La
prima pubblicazione di Conan-Doyle fu però uno dei suoi racconti del terrore: Il mistero della valle di Sasassa.
Conan-Dolyle,
col tempo, si allontanò sempre di più dalla professione medica e, diventato
oramai l’apprezzato autore delle vicende dell’investigatore dilettante ma
geniale Sherlock Holmes, si trasformò in inviato durante la Guerra Boera in
Sudafrica, la cui narrazione, nelle pagine del libro The Great Boer War, gli fruttò il titolo di baronetto nel 1902.
Siamo
negli anni della maturità di Conan-Doyle, prima che si facesse trascinare dal
suo interesse per l’occultismo. Quello che per me è il suo capolavoro assoluto
– copiato e plagiato da scrittori e registi nei decenni a seguire – è del 1912:
The Lost World, Il mondo perduto.
Per
chiarezza: già Jules Verne (Viaggio al
centro della terra, 1864) aveva trattato con maestria il tema delle “terre
perdute” o dei “mondi perduti”. E, ancor prima di Conan-Doyle, Welles, nel
1902, aveva pubblicato un grande romando ambientato nella preistoria, A Story of the Stone Age, che forse,
però, può più precisamente essere considerato un racconto lungo, che non un
romanzo vero e proprio.
Nessuno
prima di Arthur Conan-Doyle, tuttavia, aveva riunito in un unico topos letterario i due filoni narrativi
del “mondo perduto” e della “preistoria che ancora vive”, magari in forma di
“frammento”, e come tale è arrivata fino ai nostri giorni.
Questo
sottogenere incontrò da subito successo tra i lettori dell’epoca e ancora oggi,
soprattutto al cinema, continua a far andare molto bene i botteghini.
Tutto
questo è opera di un genio della letteratura: Arthur Conan-Doyle.
Sarà
bene, prima o poi, farlo leggere nelle nostre scuole, per rendere ai nostri
ragazzi un po’ di giustizia e insegnare loro a volare veramente con la
fantasia.