Un
libro può nascere in molti modi.
EDEN. IL PARADISO PUÒ UCCIDERE è nato, come vi
raccontavo nei post precedenti, da un viaggio sui generis in Malesia, dalla macerazione interiore delle
esperienze fatte durante questo viaggio – e in particolare di alcune immagini
che sono rimaste fissate più di altre nella mia memoria – e da una lettura
approfondita delle opere di Arthur Conan-Doyle, in particolare il suo Il mondo perduto.
A un
certo punto, dunque, gli elementi per “l’incendio creativo” c’erano tutti.
Mancava la scintilla. Che mi arrivò una notte da un incubo di quelli che ti
restano impressi per tutto il resto della vita, sognato senza apparenti ragioni
né spiegazioni, non ricordo sinceramente quando.
Il
giorno dopo, di getto, mi ritrovai a scrivere la cronaca di quel sogno sotto
forma di versi in rima. Pochi giorni dopo, cominciai la prima delle quattro
stesure del libro che, come raccontavo in precedenza, ho scritto e riscritto
tra il 2003 e il 2015.
Quel
sogno – quell’incubo – è diventato l’incipit – il prologo – di EDEN. IL PARADISO PUÒ UCCIDERE.
Eccolo
qua.
Ho
visto morti piangere, ier notte,
li ho
visti che morivano di nuovo,
e
nere coi lor teschi silenziosi
labbra
che vibravan senza suono;
ho
poi odorato olezzi mai annusati
di
corpi decomposti in acque scure,
che
lisce e senza onde andavan lente
del
lugubre lor pasto ben sicure.
ché
tr’anime anonime e furtive
d’una
figura antica udii il lamento
che
dentro me il suo passo ben scandiva;
e
bevvi acque torbide e salate,
ma
ben non posso farmene ragione,
in
cui il corpo suo era calato
e
ogni parte già in putrefazione.
Or
ben più non ricordo quell’evento,
ché
già i particolari son sbiaditi,
ma
sol che quello strazio fu ben lesto,
ché
tosto mi destai e ben stupito;
rammento
solamente e ancor lo vedo
che
il padre di mio padre era in quell’acque,
non
so per qual peccato o pio disegno,
ma
sol che mi guardò e certo tacque.
E
fuggì veloce al mio risveglio.