Inizialmente
la parte introduttiva del libro – quella in cui si introducono i personaggi, si
delinea la loro psicologia e si creano le basi per l’azione – era molto più
lunga. I tagli e le riscritture del 2010 e del 2015 mi hanno permesso di
ridurla a tre capitoli, che in parte mi hanno anche permesso di introdurre lo
stile della narrazione, completamente diverso da ogni libro che ho scritto in
precedenza, incluso il mio amato “I bastardi di Sarajevo”. In questo libro avevo deciso di lanciarmi una sfida,
quella di rinunciare alla comodità del narratore. In EDEN, invece, ho voluto fortemente il narratore e mi sono lanciato
una sfida ben diversa, ovvero quella di renderlo non un accessorio utile per la
narrazione ma una parte insostituibile e irrinunciabile, direi costitutiva, del
libro.
L’ingresso
nell’azione, dopo le due riscritture di cui sopra, nella versione definitiva di
EDEN è quasi immediato, e il lettore
ne è accompagnato al centro già nella prima metà del secondo capitolo,
esattamente con questo passaggio piuttosto agile, ma fondamentale:
Rimanemmo
ancora qualche istante in silenzio, quasi in ascolto, ognuno alle prese con i
suoi, di tarli. Il picchiettare sulla porta, infine, ci destò.
Katia
tornò a fare capolino tra le due ante, alla stregua di un’adolescente colta in
flagrante mentre spia i genitori: «Ivano, sono arrivati i signori…», sembrò
giustificarsi mentre, pian piano, dopo gli occhi entravano nella stanza anche
il naso, la bocca carnosa e altera, il collo sottile e un piede, frammenti di
una nuova figurina della mia squinternata collezione.
«Tra
cinque minuti, Katia. Tra cinque minuti…», si affrettò a dire Bentivoglio,
alzandosi poi in piedi mollemente e dirigendosi verso la finestra. Un piccione
grigio con una curiosa macchia bianca sulla testa continuò a spulciarsi tranquillamente
sul davanzale, ignaro del cerchietto di plastica che qualche mano gli aveva
legato attorno alla zampa rugosa. Intanto, un flebile raggio di sole sembrava
voler fare capolino tra le nubi nere spesse di pioggia; ma queste ultime,
alleate col vento, prontamente lo ricacciarono indietro, negandogli l’idea
d’arrivare a specchiarsi sui selci inondati di pioggia mista agli scarti della
civiltà, muti simboli colorati del disumano regresso del progresso umano.
«Hai
idea di quanto costi, ogni anno, il giocattolo sul quale scrivi?».
«Me
ne sono fatto una mezza idea, anche se personalmente non adoro sguazzare tra
scartoffie e falsi in bilancio…».
«Ah,
di quelli se ne fanno sempre meno! Non conviene più… E poi i politici
ultimamente ci hanno dato una bella mano, in materia… E hai idea di quanto mi
costi, tu, ogni anno, con i tuoi viaggi?».
«Non
dirmi che stai per licenziarmi… Sarebbe una pessima notizia per il mio sistema
nervoso, in una giornata di pioggia come questa. E poi, sai benissimo che di
solito i miei viaggi sono almeno in parte sponsorizzati…».
«Le
marchette… lo so… E poi non saresti una prostituta… No, non credo che il
pericolo di un licenziamento sia imminente. C’è troppa gente che ti odia, in
redazione, e non potrei mai dar loro una simile soddisfazione. Non se la
meritano. No. Te l’ho chiesto per mettere le mani avanti, come si dice».
«La
cosa ha a che fare con le persone che stai aspettando?».
«Che
stiamo aspettando! Perché l’incontro di oggi interessa più te, che me…».
«Di
chi si tratta?».
«Una
persona la conosci già: è Bianca Maestro, il direttore del giornale su cui
scrivi e di cui ho il dubbio onore di essere detentore di una molto più che
cospicua quota di maggioranza».
«Spiacente
per i tuoi dubbi imprenditoriali… e… di chi è in compagnia, la mia adorata
direttrice?».
«Frena,
signor curioso. Prima dai un’occhiata a questa».
Mentre
parlava aveva lasciato la finestra e s’era riavvicinato alla scrivania. Tornò a
sedersi con lentezza quasi esasperante, aprì un cassetto e ne estrasse una
fotografia, che mi porse dopo averla guardata. I suoi occhi sbiaditi s’erano
illuminati sotto i capelli grigi pettinati all’indietro, come se
improvvisamente avesse avuto tra le mani la cosa che aveva da sempre sognato
toccare, palpare, carezzare, concupire.
Presi
la foto con curiosità. Non potei trattenere un moto di delusione alla prima
occhiata. Si trattava di un’istantanea sbiadita, con i colori quasi tutti
uniformemente tendenti al viola, nella quale si vedeva un grosso teschio
stretto da due mani olivastre luride di qualcosa che avrebbe potuto essere
sangue misto a terra, o magari escrementi animali.
«Direi…
– feci quasi infastidito – …direi che si tratta di due mani che tengono strette
un teschio animale o qualcosa del genere».
«Nient’altro?».
[…]
Da
questo momento, per altri ventitré capitoli, si è immersi nell’azione e il
lettore vive letteralmente al centro del libro, insieme ai suoi protagonisti.
Bene,
credo di avervi raccontato davvero tutto.
Spero
di avervi incuriosito. Spero che leggerete EDEN.IL PARADISO PUÒ UCCIDERE e che lo vorrete consigliare agli altri.
So
che la sfida è dura, ma non sono tipo da arrendersi e da tirarsi indietro. Ho
sempre e solo pubblicato libri in cui credevo profondamente. EDEN. IL PARADISO PUÒ UCCIDERE per me è
una sfida nuova, eccitante, bellissima.
Spero
che vorrete aiutarmi a vincerla. E il modo migliore per farlo è leggere il
libro, consigliarlo, avviare un dialogo tra lettori e autore.
Questo
spero avverrà. E non è detto che un giorno possa essere dato alle stampe il
seguito di questo libro, di cui non ho scritto una sola parola ma che è già
pronto nella mia testa. E nel mio cuore.
Buona
lettura!