domenica 10 gennaio 2010

100 ottime ragioni per non amare Roma: una ragione in regalo ai miei lettori


In questi giorni di pioggia, con il Tevere che torna a minacciare esondazioni, nulla di meglio che regalare ai miei pochi ma sinceri lettori un capitolo (il 68esimo!) tratto dal mio nuovo libro 100 ottime ragioni per non amare Roma...e almeno due per adorarla alla follia, nelle migliori librerie d'Itala e Canton Ticino (oltre che sul web e sul portale della casa editrice Infinito edizioni) dalla prima metà di gennaio 2010.
Buona lettura e, spero di cuore, buon divertimento.

Pioggia

…Nel cielo, le bambine
ai fili luminosi della pioggia
si toccano i capelli, vanno sole
ridendo con le labbra screpolate…
(Alfonso Gatto, Inverno a Roma)


Canta quer caciarone de Venditti Antonello da Roma:
Sotto la pioggia batte forte il cuore
ma la pioggia non ci bagna
e due ragazzi con il loro amore
stan cercando una speranza
sotto la pioggia, stanno scaldando
quella colomba.

Colomba, piccione o merlo a parte, che qualcuno potrebbe anche scaldare in forno, la canzone il sommo menestrello deve averla scritta in vacanza ai Caraibi.
Perché a Roma la pioggia non solo ti bagna, Antone’: te fracica!
Dalla testa ai piedi. Nun ce sta scampo!
E la città va a rotoli. Anzi, a rapide!
Roma non è città acquatica, altrimenti l’avrebbero costruita sulle palafitte e si chiamerebbe Venezia.
È, all'opposto, metropoli “terrigna” in cui piove poco. Ma quando precipita…apriti cielo!
Basta mezza giornata di pioggia che le cantine mutano istantaneamente in voluminose cisterne e i garage in piscine a saracinesca per i tuffi di sorci acrobatici (la pantegana o zoccola di fiume romana, ohibò!...).
Con un giorno di pioggia, le strade divengono fiumi in piena, per rientrare a casa in macchina servono i remi e il doppio del tempo, in autobus manco a parlarne e ai pompieri vengono occhiaie che paiono solchi di carro, manco gli avessero messo in caserma la porno pay tv.
Al secondo giorno, al Tevere già gli girano di traverso e i romani principiano a ricoprirsi di muschi e licheni. Naturalmente – manco fosse fatto apposta – scatta lo sciopero dei mezzi pubblici e viene in visita qualche rompicoglioni straniero. Città bloccata, Cuppolone incrinato dalle bestemmie di credenti e miscredenti. Stato di crisi per pizzardoni e casalinghe in cerca di cibi da stipare per l’imminente ma non ancora certa fine del mondo. I cartomanti e i ciarlatani loro pari mietono soldi siccome grano il villico nel campo.
Al terzo giorno, il Tevere comincia a spedire lettere minatorie e la gente s’affaccia sempre più spesso dagli argini pe’ vede’ che fa er Bionno. Lo sciopero è finito ma succede di sicuro qualcos’altro. Basta avere un po’ d’immaginazione. Ai bambini in carrozzina cominciano a spuntare branchie e pinne dorsali a forma di ciuccio, quelli che camminano paiono tante rane che zompano da un sampietrino all’altro, sempre che qualche macchina non zompi in testa a loro o il blocchetto di pietra non finisca risucchiato in qualche mini-voragine.
Al quarto giorno di pioggia – rarissimo – per il Tevere è allarme rosso, i sommozzatori infilano la tuta e scoprono che la zip – maledetta zip! – non scorre, i pompieri sono spompati e i topi fanno surf con la camicia hawaiana. Razzia al supermercato causa certezza ormai conclamata della fine del mondo. Le sette – sataniche e non – di Roma e Castelli fanno razzia di creduloni e ripuliscono loro il portafoglio. I cartomanti sono fuggiti, ormai ricchi, alle Bermuda. Il prezzo della benzina, naturalmente, aumenta, mentre scatta l’allerta dei produttori agricoli: troppa pioggia, stato di crisi. Ravanelli e zucchini costano quanto una Lamborghini, spuntano cassette di bieda o bieta (a seconda delle ortofrutticole interpretazioni cittadine) nelle vetrine delle oreficerie e la lattuga supera ogni record mai segnato prima. I finocchi rischiano l’annegamento, ma non si capisce mai se ci si riferisca al caratteristico ortaggio o a qualche altrettanto peculiare essere umano.
Al quinto giorno non s’arriva per decreto, anche perché so’ dumila anni che aspettamo quarcheduno che sappia apri’ n’antra vorta l’acque. Ma qua, ar massimo, dar Cupolone co’ ‘sto papa ponno apri’ du’ bottije de bira. E l’unto de Palazzo Chigi sta sempre in Russia a apri’ matriosche…