Ne I bastardi di Sarajevo, Luca Leone riassume le lacerazioni, i
drammi e le miserie che ancora oggi gravano sulla popolazione della Bosnia
Erzegovina, a causa di una pessima politica che ha dato al Paese prima una
guerra e poi un dopoguerra cui non sembra voler porre fine.
Attraverso un’abile regia, in un
alternarsi di quadri, Leone snoda storie che concorrono a rappresentare la
Bosnia come una sorta di laboratorio politico dell’orrore; come il delirante
risultato del trionfo di nazionalismi che hanno diviso sul piano religioso
comunità che in precedenza non avevano la tendenza a litigare su Dio; come inquietante
prospettiva di ciò che potrebbe diventare l’Italia, ormai da un ventennio
vittima di artificiose divisioni tra il “noi”,
che il politico trionfante di turno ogni volta esibisce orgogliosamente, e quel
“loro” con cui contestualmente indica
in maniera demagogica e denigratoria tutti gli altri.
La Sarajevo ritratta da Leone non
vive attraverso le sue strade, i suoi edifici e i suoi monumenti. Sembra
piuttosto un’anima che vive e palpita attraverso i drammi e le delusioni di chi
la popola e che sopporta come un corpo estraneo quella pessima politica che
l’ha ridotta a un cumulo di macerie morali e materiali.
È una città che mostra i segni e la
sofferenza di tante vite scandite da un prima, un durante e un dopo la guerra,
di tante vite segnate irreversibilmente dalla violenza, dal fanatismo e
dall’odio di cui si è alimentata una guerra voluta da nazionalismi in cerca di
una nazione e da fanatici identitari in cerca di un’identità.