venerdì 17 ottobre 2014

Grazie Telecom per il disservizio quotidiano!

Mercoledì mattina, 15 ottobre, sono le otto, il cielo è grigio, gonfio di pioggia e umido. Inizia il lavoro ma internet non va. Spegni e riaccendi modem e router. Ma niente da fare. Ti scappa una parolaccia. Provi e riprovi cavi e spinotti, riavvii tutto e ancora e un’altra volta. Nulla. Rassegnato, inizi il pellegrinaggio presso l’inarrivabile centro assistenza Telecom. Oltre mezzora al telefono. È la prassi. Per loro. Scopri di non avere un guasto tecnico e che il guasto suddetto, stavolta, non ce l’hanno neppure dall’altra parte. Niente centraline, cavi e altro. Nonostante il disastro di Parma, dove qualcuno ha avuto la splendida idea di costruire un centro strategico per le telecomunicazioni in riva o quasi non a uno ma a ben due corsi d’acqua. Genio italiano…!
“Siete oggetto di un blocco amministrativo”, dice la signorina assonnata e svogliata dall’altra parte della cornetta. Blocco amministrativo!? Indaghiamo. Significa che ci hanno staccato la linea perché non abbiamo pagato. Eppure, ribattiamo piuttosto stizziti, abbiamo attivato oltre due anni fa la domiciliazione del pagamento delle fatture Telecom presso il nostro conto bancario e tutte le fatture arrivateci in redazione contengono la scritta, bella grossa, che tutto è ok, che non abbiamo debiti con l’azienda telefonica in questione, che siamo bravi e proni pagatori. Sinonimo di “cittadino” in Italia. La signorina cerca meglio. Scopre che noi non c’entriamo nulla ma che è Telecom ad aver fatto pasticci nel passaggio al sistema Sepa ed, esattamente, in questa imposizione unilaterale di cui ogni utente è stato oggetto (o vittima) non ha correttamente agganciato i clienti con le rispettive banche, facendo risultare così morose centinaia di utenze. Centinaia di utenze!
Ma siamo tutti impazziti?
Quindi ti trovi, a tua insaputa, a essere moroso nei confronti del gigante delle telecomunicazioni, che ti impone un cambio unilaterale del contratto e poi, senza alcun preavviso, ti lascia senza internet e senza linea telefonica in uscita solo perché un amministrativo non ha “agganciato” dei numeri al tuo numero. E perché qualche dirigente zelante e piuttosto idiota ha stabilito una procedura da seguire, questa, che ha un taglio un po’ nazista e un po’ sovietico. Un grande esempio di trasversalità italica. Nessun avviso nelle settimane o giorni precedenti, ovviamente, a beneficio dell’utente prono e pagatore. E l’ultima fattura riporta la dicitura seguente: “Le precedenti fatture risultano pagate”. Sono una signorina, all’ennesima telefonata, butta là un goffo: “Ma la nostra procedura prevede l’invio di lettere di sollecito con tariffa normale”. Che, guarda un po’, non solo non sono mai arrivate, sennò ci saremmo affrettati a pagare e a “rimetterci in regola”, ma non hanno neppure alcun valore in tribunale.
Comunque, te ne fai una ragione, in tutta fretta verifichi il pasticcio, sai che non è colpa tua, molli il lavoro, ti fiondi all’ufficio postale e saldi l’arretrato. Perché sei un’azienda che fa della comunicazione il suo cuore e non puoi non comunicare. E infatti paghi un sacco di soldi per questo.
Ma non è abbastanza, perché il cittadino italiano deve essere sempre messo a dura prova. Inizia infatti l’odissea del comunicare l’avvenuto pagamento a Telecom. Bisogna inviare copia del pagamento tramite fax – “oppure tramite mail, ancora meglio”, ti dice un’idiota dall’altra parte della cornetta, senza pensare evidentemente che tu stai protestando e sei in ansia proprio perché internet te l’hanno staccato illegittimamente. Quindi, torni al medioevo e mandi un fax. Bella storia: dove lo mandi? E da dove lo mandi, visto che nel frattempo, nonostante ti avessero assicurato del contrario, oltre che internet ti hanno tagliato anche le telefonate in uscita? I numeri a cui spedire un fax possono anche essere più di uno e nessuno ti dice quale sia quello giusto. Così, nel dubbio ri-esci e, a pagamento,  mandi un fax a tutti i numeri che ti hanno dato. Poi ti riattacchi al telefono e chiedi informazioni e rassicurazioni sul fatto che la domiciliazione, mai disattivata dall’utente, sia di nuovo attiva e, soprattutto, poni la domanda principale: “Quando mi riattivate la linea?”. Entro ventiquattro ore”, ti dice l’ennesima operatrice. Ti cadono le braccia, perché ti aspetti che l’operazione abbia la stessa immediatezza di quella che ha portato a subire il distacco ingiusto. Ma, ovviamente, non finisce qui. Perché non pensi a chiedere: “Ma ventiquattro ore da quando?”.
Perché i signori di Telecom impiegano il loro tempo a “lavorare i fax”, anche loro sono rimasti nel medioevo. E la risposta giusta, come scopri allorché le ventiquattro ore sono passate, è che la decorrenza scatta dal momento in cui il fax è stato protocollato. Il che avviene con la “giusta” calma. Tanto a rimetterci i soldi e a non poter lavorare siamo noi, non certo i burocrati di Telecom.
Parte allora una nostra massiccia protesta via Twitter, usando le connessioni telefoniche che, per fortuna, paghiamo a un altro gestore di telefonia (e meno male, perché sennò il pantano parmense ci avrebbe privato anche di questo strumento). Qui scatta una altrettanto massiccia presa in giro da parte di qualche buontempone, forse dell’ufficio stampa, di Telecom, che ci palleggia per ore con un operatore del  187, pur sapendo che siamo un’azienda, il quale alle 19,00 o poco prima, evidentemente orario strategico per loro, ci comunica che la competenza è del 191. Continua allora la nostra protesta su Twitter e il simpatico operatore del 191, che avrebbe dovuto chiamarci per raccogliere la nostra protesta e darci risposte, mai si palesa. Abbandonati.
Con una speranza: e cioè che, alle nove del mattino di oggi, venerdì 17, avremmo dovuto riavere la linea. Certezza che riusciamo ad avere solo dopo altre telefonate fiume con l’inconcludente call center Telecom.
Alle nove di questa mattina avviamo il tutto e… e naturalmente non funziona nulla. Ci riattacchiamo allora al telefono e forse troviamo la persona giusta. La quale raccoglie di nuovo la nostra protesta, controlla sul terminale e ci dice: “Beh, ma qui risulta tutto a posto. Non capisco perché non vi abbiano riattivato la linea, ma ora ci penso io”. Un clik e tutto riparte magicamente. Un clik che avrebbero potuto fare anche un giorno prima, senza arrecarci per mero gusto sadico un danno ulteriore.
L’azienda Telecom non prevede scuse. L’azienda Telecom non prevede risarcimento del danno subito dall’utente. L’azienda Telecom, in sostanza, può fare quel che vuole della nostra vita e della nostra attività.
Ora, la privatizzazione della Telecom, come sapete, è stata decisa dal governo Prodi e attuata il 20 ottobre 1997 quando a guidare l’azienda era Guido Rossi. Lo avessi davanti a me, chiederei al signor Prodi e agli altri campioni del centro-sinistra italiano se sono fieri di aver privatizzato coi piedi tutte le aziende strategiche del Paese per ridurle in queste condizioni, per ridurre i cittadini e le piccole e medie imprese italiane in queste condizioni. Siccome le risposte sarebbero biascicate e a metà, quel che resta è il rimpianto per il disastro che una classe politica inaccettabile, impreparata e incompetente ha compiuto, seguita poi da altre classi politiche se possibile persino peggiori che hanno dato fondo all’impossibile riducendo il Paese quella porcheria che oggettivamente è e mettendolo nelle mani di mezze maniche mezze cartucce che vengono incredibilmente definite “manager”.
Rimane, in tutto questo, solo un grande senso di amarezza e, se possibile, la consapevolezza che chi se ne va all’estero a lavorare e a produrre fa assolutamente bene. Questo Paese non merita le persone e le aziende oneste che pure, in grandissima parte, ha. Merita solo, evidentemente, d’essere oggetto di ratto da parte di una mediocre oligarchia politico-economica che ricorda un po’ gli oligarchi russi e le connivenze clamorose del Cremlino. È un’Italia in svendita, perennemente, quella che le privatizzazioni selvagge degli anni Novanta ci hanno lasciato. Un’Italia che ci pesa addosso come un macigno e che ci sta schiacciando tutti.
Impossibile spiegare queste cose ai nostri politici. Ma sarebbe bene far scoppiare le loro buche delle lettere e i loro server di posta con lettere come questa. Per far vedere che non siamo tutti pecore e che qualcuno, anche se è un lottare contro i mulini a vento, ancora s’incazza. E lo fa perché siamo definitivamente soli, semplici mucche da mungere finché le mammelle non danno latte. E a quel punto ci convinceranno a fare colazione inzuppando quel che ci resta nella dispensa anche con quello.