lunedì 31 maggio 2010

Roma, lunedì all’insegna della follia organizzativa e stradale, tra parrucconi e aspiranti visitatori d’arte


31/05/2010. Che Roma sia una città in preda al caos automobilistico e all’anarchia più totale lo si sapeva da un bel pezzo.
Quel che più colpisce, però (e colpisce ogni volta, migliaia di volte l’anno) è la totale incapacità della macchina burocratico-amministrativa capitolina di gestire anche la consuetudine, che diventa automaticamente emergenza.
Chi è passato questa mattina per Roma se ne è potuto accorgere a sue spese, una volta di più.
Oggi, 31 maggio 2010, per Roma si immaginava una giornata impegnativa. Lo si sapeva da un anno, d’altronde. Perché l’Assemblea annuale della Banca d’Italia si tiene, appunto, ogni anno.
E, avendo avuto un anno per preparare l’evento, che cosa è successo, questa mattina, a via Nazionale? Il pandemonio, of course.
Papaveri, colletti bianchi d’alto bordo e parrucconi d’Italia – più qualche diplomatico, per carità – si erano infatti dati tutti appuntamento, oggi, in Bankitalia. Ogni parruccone (stipendiato dal contribuente) un’auto – d’alta cilindrata, di colore invariabilmente grigio, nero o blu scuro, con autista (pagato dal contribuente) in completo blu, elegantissimo, poi magari del tutto incapace d’infilare un congiuntivo in una vita (come molti dei parrucconi seduti sul sedile di dietro, d’altronde…).
Poiché a via Nazionale non c’è parcheggio, dove ti metto l’auto blu (pagata dal contribuente)?
Naturalmente, a “spina di pesce”, nella corsia preferenziale degli autobus (pagati dal contribuente e che quest’ultimo amerebbe poter prendere, magari per andare a lavorare e pagare le tasse con cui far divertire i parrucconi di cui sopra). A gestire il traffico di decine e decine di auto blu in sosta selvaggia (a spese del contribuente), poliziotti, carabinieri e finanzieri in tenuta anti-sommossa (pagati dal contribuente) mentre vigili incazzatissimi (pagati dal contribuente) provavano a far scorrere il traffico (dei contribuenti che pagano, ma magari in mezzo ci sarà stato anche qualche evasore, stranamente non invitato a unirsi ai parrucconi…).
Durante il suo intervento, il master and commander di Bankitalia, Mario Draghi, ha detto che la manovra di crisi messa su in fretta e furia dal ministero dell’Economia (che nel frattempo ha alzato i ponteggi per rivedere la facciata del ministero – a spese del contribuente) è ok.
Se papaveri, parrucconi e lor simili avessero lasciato nel garage auto blu e autisti (o se magari avessero la decenza certamente non italica di rinunciarvi) magari la manovra sarebbe stata ancora “più ok” e questa gente riuscirebbe a costare qualcosa di meno al contribuente.
Nell’era dell’informatica – visto che i parrucconi l’autobus non lo possono ovviamente prendere – con una webcam da dieci euro si risparmiano soldi, tempo e inquinamento- ma tanto, paga tutto il contribuente… Incluso il buffet finale (che via internet, suvvia, rimane un po’ indigesto…).
Tempo – nel caos di auto blu – di svoltare l’angolo tra via Nazionale e via 24 Maggio, ed ecco l’ennesimo esempio di incapacità capitolina di gestire la normalità, trasformandola in emergenza. Questa mattina infatti il serpentone di disperati che cerca di ammirare (fino al 13 giugno) la mostra dedicata a Caravaggio si dipanava quasi fino all’imbocco di via 24 Maggio, prima snodandosi sullo stretto marciapiede, poi direttamente in mezzo alla strada (sfiorato da auto blu rombanti che andavano a via Nazionale, a parcheggiarsi nella corsia preferenziale…), poi ancora sul marciapiede, sotto a un sole piuttosto caldo. Giovani e vecchi. Uomini e donne. Un addetto dell’organizzazione girava piuttosto accaldato, in completo blu (anche lui!) tra la folla assetata e vociante dando i tempi dell’attesa: “Circa quattro ore e mezza”…
Complimenti, Roma. E tutto questo in pochi metri di città.
Comunque sia, chi volesse leggere, divertendosi assai e riflettendo pure un po’, di questi e altri disastri capitolini, può farlo comodamente a casa prendendo il libreria “100 ottime ragioni per non amare Roma. E almeno due per adorarla alla follia”. Almeno per capire che cosa realmente sia, oggi, la Città Eterna (eterna, poi, bisogna vedere fino a che punto, se si va avanti così…)

giovedì 6 maggio 2010

Una visita al campo di sterminio di Jasenovac


Di ritorno da un viaggio di lavoro nei Balcani, in compagnia di una collega d’eccellenza, Nicole Corritore, ci siamo fermati, in viaggio verso Trieste, a visitare il campo di sterminio di Jasenovac.
L’impatto con il maestoso fiore di cemento slanciato verso il cielo voluto da Tito e progettato dal grande architetto Bogdan Bogdanovic, con i grandi tumuli ricoperti d’erba, con il treno adoperato per deportare esseri umani fin dentro il campo, con le storie e le mostruosità è stato choccante. Ancor più dilaniante è stato l’apprendere che lo Stato socialista jugoslavo aveva reso obbligatoria la visita guidata per le scolaresche al campo di Jasenovac, per evitare attraverso lo strumento della memoria e della testimonianza il ripetersi di mostruosità come quelle provocate nei Balcani e in tutta Europa tra il 1939 e il 1945 dal nazismo tedesco, dal fascismo italiano e da tutti gli altri fascismi balcanici.
Non è servito a nulla.
A parlare è bene che siano le immagini, quelle che in questo caso pubblico sparpagliate tra queste righe.
Vale solo forse la pena ricordare che il campo di concentramento di Jasenovac fu il più grande tra quelli costruiti nei Balcani durante la seconda guerra mondiale. Creato dall’auto-proclamato Stato Indipendente di Croazia, retto dal sanguinario capo ustascia Ante Pavelic, alleato dei nazi-fascisti, fu fondato sulle rive della Sava, a meno di cento chilometri da Zagabria, in una zona facilmente controllabile e dalla quale risultava pressoché impossibile fuggire.
Edificato tra l'agosto 1941 e il febbraio 1942, si componeva inizialmente di due campi di prigionia e sterminio, Krapje e Bročica, chiusi nel novembre del 1941 poiché nel frattempo erano stati attrezzati tre campi – Ciglana (Jasenovac III). Kozara (Jasenovac IV), Stara Gradiška (Jasenovac V) – più adatti alla “necessità” degli aguzzini di perpetrare esecuzioni di massa. Questi campi rimasero in funzione fino all'aprile 1945, quando si verificò l’ultima spaventosa mattanza, con i liberatori ormai alle porte.
Nel campo trovarono la morte un numero ancora imprecisato di prigionieri – nell’ordine comunque delle centinaia di migliaia di persone, inclusi bambini tra i tre mesi e i 14 anni d’età – in particolare ebrei, serbi, rom, musulmani, oppositori politici croati, omosessuali.
Tra i record dell’orrore stabiliti nel campo di Jasenovac c’è quello detenuto dallo studente di legge ustascia Petar Brzica, che nella notte tra il 29 e il 30 agosto 194, per scommessa, sgozzò 1.360 prigionieri, per essere soprannominato “Re delle gole tagliate”.
Meno di mezzo secolo dopo, nei Balcani tutto questo si è ripetuto, a dimostrazione che il genere umano è purtroppo – per sua esplicita volontà – incapace di imparare dalle atrocità commesse.