giovedì 2 settembre 2010

Quel misterioso, unico, appassionante ultimo quadro del grande Vincent van Gogh


“Dalla cornice non si scappa, anzi più ti avvicini più perdi il centro della scena. La cornice è la demarcazione secca e definitiva fra quello che c’è e quello che ci sarebbe potuto essere. Dentro sei eterno e prigioniero, fuori sei libero ma effimero... Da che parte sta l’arte?”.
È, questo, uno dei passaggi letterari presenti ne L’ULTIMO QUADRO DI VAN GOGH, ultima fatica letteraria e musicale di Alan Zamboni, poliedrico e geniale musicista e scrittore bresciano, autore per Infinito edizioni di un cofanetto (libro + cd musicale inedito, a soli 15 euro) dedicato alla figura di Vincent van Gogh nel centoventesimo anniversario della sua morte.

Luglio 1891, Auvers-sur-Oise. Un misterioso personaggio prende alloggio presso la locanda Ravoux, dove un anno prima è morto Vincent van Gogh. Da subito dimostra un insolito interesse sugli ultimi istanti di vita del pittore. Chi è quest’uomo? Cosa sta cercando con tanta ostinazione?

Ne ho parlato con Alan Zamboni, appassionato studioso dell’opera di Vincent.


Alan, nel tuo nuovo lavoro intitolato L’ULTIMO QUADRO DI VAN GOGH musica, narrativa e pittura si fondono dando vita a un omaggio di grande profondità alla figura e alla persona di Vincent van Gogh. Puoi raccontarci la genesi del progetto e le finalità di questo cofanetto contenente un libro e un cd musicale inedito?
Il progetto non nasce come tale, ma inizialmente c’è solo una grande passione per l’opera di Vincent van Gogh, prima quella pittorica, poi, in un secondo momento (quando Angel Galzerano mi apre gli occhi) anche verso quella letteraria. Con Angel condividiamo questo entusiasmo e così nasce la “Murga de Vincent”, una canzone con un ritmo uruguayano, un testo in italiano che parla di un pittore olandese, il quale ha operato soprattutto in Francia. Avevamo davanti un mappamondo! Perdere i confini geografici è stato di grande aiuto per perdere poi quelli ancor più radicati tra pittura, letteratura e musica. Nel frattempo ho continuato i miei studi su Vincent; il contatto continuo con la vita, le parole e le immagini di quest’artista ha probabilmente generato l’idea del romanzo. Da lì in poi è stato come vivere un momento magico in cui collaborando anche con Gianmarco Astori e Anna Maria Di Lena sono nati tutti gli elementi che compongono questo lavoro, un lavoro che io vedo e percepisco come un “unicum” ma che è il risultato di tre abiti con i quali a volte e in momenti diversi mi capita di travestirmi: quello del musicista, quello dello scrittore e quello del ricercatore.
La finalità del progetto è quella di un omaggio a un artista che tuttora continua a insegnare cosa significa essere “artisti”. Van Gogh è un pittore che ci ha detto con parole e quadri che il vero grande obiettivo dell’uomo sulla terra è quello di lasciarla un po’ più bella di come l’ha trovata. Credo sia utile ricordarcelo…


Che cosa ti ha colpito di più di Vincent e quando?
Mi ha colpito un suo autoritratto perché è stato il primo quadro che ho visto dal vivo. Non sapevo fosse di van Gogh... Semplicemente sono passato da una stanza all’altra del Musée d’Orsay e, girandomi, mi sono imbattuto in quel viso. È stato come ricevere un pugno in pancia, ho fatto due passi indietro e poi mi sono avvicinato incuriosito per vedere cosa c’era scritto sull’etichetta accanto al dipinto. Van Gogh fino ad allora l’avevo evitato, infastidito dalle continue notizie sulle cifre miliardarie a cui venivano venduti i suoi quadri nelle aste alla fine degli anni Ottanta fino alla famosa vendita del “Ritratto del dottor Gachet” nel maggio 1990 (82,5 milioni di dollari!)...e così per “rappresaglia” non mi ero mai interessato alla sua opera.
Vedere i suoi dipinti davanti a me è stata un’emozione non descrivibile a parole...infatti anche il protagonista del mio libro non si esprime mai in merito alle opere.
Quando anni dopo ho letto le sue lettere mi ha colpito l’incredibile lucidità nell’esprimere concetti di alto profilo (non va dimenticato che le sue lettere non erano scritte per essere pubblicate ma facevano parte di una corrispondenza ordinaria). Resto sempre affascinato dalle persone che hanno un’innata capacità di analisi e una simbiosi perfetta fra arte e vita.


Per scrivere il libro e comporre musiche e testi del disco VINCENT, allegato al libro, hai visitato i luoghi in cui Vincent ha vissuto le ultime settimane della sua vita e in cui, sparandosi, è morto. Quali sensazioni ti hanno lasciato quei posti?
I luoghi sono sempre illuminati dalla luce del presente che fa sì che lascino delle ombre spesso nitide...quelle sono il loro passato. Quando ho viaggiato ad Arles, Saint-Remy, Auvers-sur-Oise, anche se può sembrare paradossale, ho cercato di scoprire attraverso i quadri di Vincent ciò che quei luoghi diventeranno un giorno, perché nelle sue tele c’è la storia passata, presente ma soprattutto quella futura di ciò che ha dipinto. La capacità dell’artista è quella di cogliere avanti...sempre un po’ più avanti... È il fascino dello slancio.


Quali sono le difficoltà di incidere un concept album da indipendente in un Paese dominato dai favoritismi e da un mercato piuttosto crudele come quello italiano?
Incidere un concept album è già di per sé un compito difficile, si rischia di sembrare presuntuosi. Anche per questo abbiamo cercato di lavorarvi mantenendo come linee guida un profondo rispetto verso l’artista. L’esperienza è stata per me affascinante perché ho collaborato con persone che hanno perfettamente compreso le tracce da seguire e hanno dato ciascuno un’impronta unica ma al tempo stesso ben coordinata col resto del disco. È una sfida che sono contento di aver affrontato. Il “mercato” – nel senso di un’attenzione verso certi prodotti – purtroppo non esiste da un punto di vista discografico, ma in questo contesto mi ritengo un privilegiato. Ho la possibilità di far conoscere il mio lavoro attraverso il canale dell’editoria. È una cosa un po’ diversa, ma anche questa è una sfida aperta e può essere che la strada intrapresa insieme alla Infinito edizioni ci possa dare delle ulteriori soddisfazioni.


Nel libro L’ULTIMO QUADRO DI VAN GOGH oltre a quella di Vincent spiccano alcune figure. Ad esempio quella di Theo Van Gogh e della giovane moglie, Johanna. Puoi parlarcene?
Theo, come l’ha definito Bernardo nell’introduzione del mio libro, è il miglior attore non protagonista del romanzo, così come lo è stato nella vita del fratello. Nel libro ho cercato di far emergere anche quanto Theo e sua moglie Johanna abbiano contribuito alla diffusione dell’opera di Vincent. Il primo incentivandolo, sostenendolo e motivandolo per tutta la vita, la seconda promuovendo i quadri del cognato, riscrivendo e traducendo tutta la corrispondenza dopo la morte dei due fratelli. Theo e Jo sono stati inoltre una coppia chiave nel percorso autodistruttivo di Vincent: in molti infatti sostengono che la nuova vita coniugale del fratello abbia assestato un duro colpo al già difficile equilibrio emotivo di van Gogh, che si è sentito mancare l’appoggio di Theo.


Altra figura centrale è Adeline, la piccola Adeline…
Adeline Ravoux è secondo me il vero fulcro del romanzo. La ragazzina figlia dei gestori della locanda porta con sé il candore della bambina e la “fermezza” della donna, diventando col passare delle pagine sempre più un personaggio simbolico. Lascio al lettore ovviamente la libera interpretazione. Io dietro ad Adeline scorgo una sorta di mondo, il nostro mondo, quello a cui Vincent ha lasciato le sue opere.


Se lo avessi davanti in questo momento, che cosa diresti a Vincent?
Credo gli chiederei solo di poter stare accanto a lui mentre dipinge. Siamo abituati a vedere i quadri finiti ma credo che contemplare un’opera d’arte nel suo divenire sia un’emozione ancora più grande.


E secondo te, che cosa ti risponderebbe?
Senza dubbio me lo lascerebbe fare e poi, una volta finita la tela, ne monterebbe un’altra e mi direbbe di mettermi in posa perché io ho scritto un libro per lui e Vincent è una persona generosa... Sicuramente in cambio mi regalerebbe un ritratto!