Srebrenica,
fine secolo
Ogni volta che torno da Srebrenica e da Potočari, porto con me le immagini del filmato che
documenta lo sporco “lavoro” degli “Scorpioni”, delle truppe paramilitari
d’assalto, delle milizie del boia Mladić. Si
filmarono da soli, in preda a un delirio di onnipotenza, per testimoniare le
loro nefandezze. Si vedono mentre inseguono i fuggiaschi nei boschi, puntando le
armi su una fila di bosniaci disperati. Sanno cosa fare: prendono un uomo alla
volta, lo portano in mezzo alla boscaglia, gli sparano. S’intuisce la loro
richiesta prima di ogni esecuzione: “Guarda per terra”. Poter non guardare in
faccia la propria vittima, hanno spiegato gli psicologi, è ciò che serve anche
al più duro dei criminali per resistere allo stress di un genocidio. È una
richiesta allucinante, come dire “ora ti sparo. Abbassa gli occhi e muori.
Muori, ma non guardarmi”.
Le immagini scorrono nella fabbrica di
batterie fredda e silenziosa, incollando gli sguardi allo schermo. Un silenzio
che si fa ancora più assordante, spezzato di tanto in tanto da qualche rumore
metallico (basta appoggiarsi o inciampare in qualche struttura per provocarlo e
amplificarlo nel vuoto di questi enormi scatoloni di ferro e cemento).
L’atmosfera è sempre pesante e la tensione diventa palpabile, densa. Un grumo
di emozioni s’accumula e fatica a sciogliesi in uno stress emotivo. Viene il
magone e in fondo è un atto liberatorio, un modo per espellere il veleno
inoculato negli animi da queste immagini che non sono tratte da un film ma
dalla testimonianza, diretta e cruda, di una realtà violenta e arrogante.
Sembra di udire la voce profonda e un po’ rauca di Giovanni Lindo Ferretti. Ne
immagino la faccia scavata, senza età mentre canta Memorie di una testa
tagliata. Parole che fanno riflettere lì, a Srebrenica.
“Chi è che sa di che siamo capaci tutti,
vanificato il limite oramai. Vanificato il limite, sotto occhi lontani, indifferenti
e bui…Pomeriggio dolce assolato terso, sotto un cielo slavo del Sud. Slavo
cielo del Sud non senza grazia”.
Un limite oltrepassato, calpestato, negato
con un cinismo paragonabile solo alla pianificazione nazista dell’Olocausto. E
tutto questo cinquant’anni dopo. Segno che la storia, troppe volte, non insegna
niente, nonostante offra un infinità di occasioni su cui riflettere, da cui
imparare. Quando si esce da quei capannoni è come s’uscisse da una tomba. Qui è
il cuore della memoria rimossa dell’Europa, dove esiste un Islam europeo, ma è un’anomalia che disturba, nello schema
dello scontro Oriente-Occidente.
Predrag Matvejević, scrittore e grande
intellettuale balcanico, nato a Mostar, croato-bosniaco con cittadinanza
italiana, un giorno scrisse: “Li
hanno fatti fuori per questo. Sono una complessità intollerabile in un mondo
fatto di bianco e nero. Oggi esiste solo l’Islam che spaventa. Dell’altro chi
se ne frega. I musulmani dal volto umano al massimo si compatiscono, come
quelli di Srebrenica. Chi se ne importa di un popolo che si fa massacrare e poi
non mette nemmeno una bomba? E invece in Bosnia c’e un Islam europeo, che
lascia le donne libere, le gonne corte, che accetta i matrimoni misti e quando
c’è del buon vino lo beve, senza problemi. Una risorsa dimenticata, che si
sarebbe potuta giocare contro i fondamentalisti”.
Pure e semplici verità che andrebbero
considerate come antidoto al delirio del Califfato che preannuncia attacchi nei
Balcani per “difendere i musulmani e terrorizzare gli infedeli”,
richiamandosi proprio a Srebrenica.
Marco Travaglini