Il
governo serbo ha deciso di vietare lo svolgimento di qualsiasi manifestazione a
Belgrado in ricordo del genocidio di Srebrenica.
“Avverto chiunque stia considerando una
riunione di qualunque tipo che la polizia non consentirà né tollererà tali
riunioni”, ha dichiarato il ministro dell’Interno serbo Nebojsa Stefanović durante una conferenza stampa,
invocando non meglio precisati “motivi di sicurezza”.
La
decisione – che sa molto di regime – cancella anche la grande iniziativa,
promossa da una quarantina di organizzazioni non governative (ong) serbe, che
prevedeva la presenza nelle strade del centro della capitale di circa settemila
persone sdraiate a terra, a simboleggiare il numero delle vittime del genocidio
riconosciute da certa parte del mondo democratico serbo. Quello delle cifre è
un vero e proprio “balletto” da anni: tra 7.000 e 7.500 per la Serbia, 8.372
(ma con dei puntini di sospensione) per le Nazioni Unite, almeno 10.000 per l’Ente
internazionale che si occupa, a Tuzla, di ricomporre i corpi delle vittime del
genocidio, 10.701 per le madri e donne di Srebrenica.
Numeri
a parte, resta l’atto illiberale, ennesimo strappo del governo
ultranazionalista serbo verso ogni ipotesi di riduzione della tensione nell’area,
soprattutto in questo momento difficile nei rapporti tra Occidente e Oriente di
area filo-russa.