Quando leggiamo parole come “eccidio”,
“strage”, “mattanza”, “massacro”… in riferimento a quanto avvenuto a
Srebrenica, ci troviamo di fronte o a parole sparpagliate a caso da qualche
giornalista superficiale oppure a una scelta deliberata per ridurre ad arte la
gravità, la magnitudo, l’impatto, il significato di un evento che nella storia
europea era avvenuto, per l’ultima volta, con la Shoah degli ebrei e con il
genocidio dei rom nei campi di sterminio nazisti. Altri popoli che a certo
mondo estremistico non sono, guarda caso, mai andati molto a genio. E temo che,
nella testa di certe persone, musulmani bosniaci, ebrei e rom siano accomunati
da un identico disprezzo per la considerazione che si ha di loro. È una
vergogna.
Per capire come stanno le cose realmente, è
sufficiente prendere in mano un comune dizionario dei sinonimi e dei contrari.
Io sto usando uno Zanichelli. Sinonimi di “eccidio” sono sterminio, strage,
ecatombe, macello, massacro, carneficina, carnaio, scempio, uccisione,
falcidia. Di “mattanza” sono massacro, assassinio, sterminio. Per “massacro”
abbiamo eccidio, strage, carneficina, sterminio, uccisione, scempio, macello,
carnaio, ecatombe. Solo per “strage” troviamo sinonimi quali carneficina,
massacro, sterminio, macello, scempio, eccidio, ecatombe, carnaio, falcidia,
decimazione, uccisione di massa, genocidio. Se però andiamo a vedere il
significato di “strage” su un vocabolario, questo viene comunemente indicato
come “uccisione di una grande quantità di persone o di animali” (Corriere
della Sera), o “uccisione violenta di molte persone o animali insieme” (Garzanti
e Hoepli). Quindi, di fatto, per quanto comunemente usato come
sinonimo, “strage” non fa direttamente riferimento alla Convenzione del ‘48 e
il suo uso non è corretto né in riferimento alla Shoah né in riferimento al
genocidio di Srebrenica né in riferimento al genocidio rwandese della primavera
del 1994. Credo che però l’uso di sinonimi meno d’impatto del termine “genocidio”
abbia la finalità di ridurre, di sminuire la gravità di quanto avvenuto a
Srebrenica così come nei campi di sterminio nazisti.
Varrà forse la pena
ricordare che la parola “genocidio” è stata coniata appositamente a metà degli
anni Quaranta del Novecento dall’ebreo polacco sopravvissuto Raphael Lemkin con
lo scopo di provare a descrivere in modo adeguato le politiche naziste di sterminio
sistematico degli ebrei europei. Il termine nasce dalla sintesi del prefisso geno-,
dal greco razza o tribù, con il suffisso -cidio, dal
latino uccidere. Lemkin, come scrisse, aveva in mente “l’insieme di
azioni progettate e coordinate per la distruzione degli aspetti essenziali
della vita di determinati gruppi etnici, allo scopo di annientare i gruppi
stessi”. I suoi sforzi vennero poi premiati con l’introduzione della parola
“genocidio” nella Convenzione del 1948 e nel vocabolario mondiale comune. Un
genocidio, dunque, non è “semplicemente” un strage, ma è l’annientamento totale
di uno o più gruppi. Nello specifico di Srebrenica, del gruppo nazionale
bosniaco di radice e cultura musulmana, ovvero i successori di coloro che,
convertitisi dopo l’anno mille dal cristianesimo al bogomilismo, lasciarono
nella seconda metà del Quattrocento, dopo secoli di persecuzioni, questo credo
eretico dualista per abbracciare l’Islam, che poi diverrà, nei secoli, l’Islam
moderato bosniaco. Punto.
Se c’è qualcuno che vuole parteggiare per
persone che si sono macchiate di crimini che richiamano per gravità quelli
perpetrati da nazismo, con il beneplacito di Paesi come l’Italia, questo fa paura
ma non deve intimidirci. La via maestra è quella della verità. E, documenti
alla mano, siamo noi quelli che la stanno dimostrando e la stanno difendendo,
non i negazionisti e i revisionisti, che sanno solo esprimersi attraverso
slogan e teorie complottistiche da fumetto di serie B degli anni Cinquanta.
(tratto da "Srebrenica. La giustizia negata", scritto con Riccardo Noury, Infinito edizioni, aprile 2015)