Ci
sono donne che, nella battaglia senza luogo con la nera signora, diventate
nonne ordinano ai nipoti di chiamarle solo con il nome. A Srebrenica ci sono
donne che darebbero dieci anni di vita per potersi sentire chiamare, almeno una
volta: “Non-na, non-na”, da una vocina infantile e squillante.
Se
questo fosse possibile significherebbe per queste non-nonne che venti anni fa
non si è combattuta una guerra decisa lontano, che ha lacerato le famiglie, e a
Srebrenica non si sarebbe consumato l’orrore. Quel brivido che ancora oggi si
percepisce tra le strade di una città fantasma e tra le migliaia di lapidi in
file ordinate nel memoriale di Potočari.
È qui il cuore di queste non-nonne che non si concedono il lusso di piangere
davanti a qualcuno e si coricano senza aver spalmato sul viso cosmetici dalle
promesse miracolose, pregando solo per il miracolo di trovare in una fossa le
amate ossa.