“L’accettazione
dei tragici eventi di Srebrenica come genocidio è il pre-requisito per la
riconciliazione”. Questa la frase “incriminata” contenuta nella proposta di
risoluzione britannica presentata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
che ha portato la Russia a porre il veto ieri.
Nessuna
risoluzione di condanna del genocidio, dunque, nel ventennale di quella
tragedia che nel luglio 1995 si svolse davanti agli occhi dei caschi blu
olandesi.
La
Russia aveva annunciato questa decisione, sia per compiacere le alleate e
amiche Serbia e Repubblica serba di Bosnia, sia per lanciare un monito, qualora
vi fossero ancora dubbi sullo stato della coscienza nell’impero dello “zar” Vladimir
Putin: nessuno parli di genocidio. A cominciare magari da quello ceceno.
Degli
altri quattro membri permanenti dell’Onu – Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna
e Cina – i primi tre hanno votato a favore, la quarta s’è astenuta, così come
hanno fatto Angola, Nigeria e Venezuela, rendendosi compartecipi di una nuova
pagina nera nella storia delle Nazioni Unite. Dieci i voti a favore.
Grande
soddisfazione è stata espressa dai nazionalisti al potere sia in Serbia che
nell’entità amministrativa della Repubblica serba di Bosnia. Oggi Mosca,
Belgrado e Banja Luka festeggiano la loro affermazione nel festival ventennale
della menzogna e del negazionismo, ma il loro isolamento tenderà a crescere,
così come le tensioni nello spazio ex-jugoslavo.
Mercoledì
8 luglio 2015 l’Onu ha scritto una nuova pagina della vergogna nella tragica
vicenda di Srebrenica. Probabile che il fondo non sia stato ancora toccato. C’è
ora solo da sperare che le teste più calde se ne stiano tranquille e che un
giorno i governanti di quei tre Paesi siano chiamati moralmente a pagare questo
strappo oltraggioso alla memoria di 10.701 esseri umani ammazzati per la sola
colpa di appartenere a un gruppo nazionale non cristiano, in questa Europa che
di cristiano non ha più nulla, fuorché la tradizionale ipocrisia.