Durante
la gita-pellegrinaggio attraverso la penisola balcanica, dell’Associazione per
l’accoglienza dei migranti “San Martino de Porres” di Pistoia, incontriamo le
madri di Srebrenica e di Zepa nel pomeriggio del 21 agosto 2008, una data che
rimarrà impressa nella mente di molti dei presenti. L’incontro avviene in un
piccolo appartamento della periferia di Sarajevo. Appena entrati, le foto con i
volti degli scomparsi, con le bare, con il volto addolorato di Clinton, ci
hanno calato immediatamente in una tragedia della storia rimossa dai media. Il genocidio, realizzato nel
luglio 1995 nell’impotenza, ma anche nell’indifferenza e nel silenzio
dell’Europa, si materializza ai nostri occhi in un’evidenza lampante che
squarcia le coscienze: non possiamo sottrarci alla responsabilità di questa
sconfitta dell’umanità: la connessione tra sfera e spazio globale si realizza
in modo lacerante.
Le parole delle madri, in particolare della presidente
Munira Subasic – una donna apparentemente semplice, ma ferma nella sua fiera
argomentazione – sono come un grido che chiede, esige giustizia di un genocidio che il mondo non ha voluto
vedere. Munira parla, racconta, ragiona, discute, accusa rapida e precisa
nella sua lingua bosniaca per noi incomprensibile, ma tradotta, talvolta tra le
lacrime, dalla giovane e dolcissima Ana, che più volte è sopraffatta dalla
commozione. Munira parla con la durezza e la precisione di un processo verbale
contro Karadzic (da pochi giorni scoperto e arrestato), Mladic (ancora nascosto
dal governo serbo), le responsabilità dell’Europa e dell’Onu, contro i silenzi
del papa; la sua sicurezza è assoluta, come se avesse raggiunto un punto fermo
che le asciuga le lacrime e le dà serenità, la Giustizia. Erompe con un grido:
“Perché siete qui?” e ci fa improvvisamente protagonisti inconsapevoli in
quella stanza, dove sono presenti il dolore e l’orrore del XX secolo. Noi, dopo
essere rimasti a lungo in silenzio, possiamo solo ringraziare per la loro
testimonianza: lo esprimiamo con le mie sofferte parole: “L’incontro che vi
abbiamo chiesto vuole riaffermare che la dignità umana resiste nella memoria,
anche e proprio nei luoghi, di cui sono stati vittime i vostri familiari. Siamo
consapevoli che ogni incontro, per voi evoca dolore, ma essere qui rappresenta
per noi una scelta irrinunciabile di solidarietà nella memoria e nella
giustizia. Il valore della vostra testimonianza è infinito proprio perché
diventa parte della memoria collettiva grazie al messaggio che quanto è
avvenuto qui, non accada più in nessuna parte del mondo. I vostri cari non
toneranno a vivere, ma attraverso la giustizia i responsabili del crimine non
sfuggiranno al giudizio degli uomini e della storia né potranno uccidere il
ricordo di coloro che assassinarono fisicamente. Nei giorni del luglio 1995,
forse molti di noi volsero altrove lo sguardo per non vedere quanto di
terribile avveniva nella vicina Bosnia: oggi, nel chiedervi perdono dell’indifferenza
di allora, vi ringraziamo perché ci avete aiutato a continuare ad essere umani.
Grazie, donne di Srebrenica e di Zepa: porteremo con noi il vostro messaggio di
giustizia, di rispetto della diversità e di speranza nell’uomo!”. Quindi don
Patrizio Guidi legge la commossa poesia composta da lui: “Madri di Srebrenica”.
Paola Bellandi, presidente dell’associazione, offre un quadro con il ricamo
eseguito da lei con una dedica alle madri. Loro capiscono il nostro disagio e
la nostra solidarietà, ci abbracciano. Sarà difficile per molti di noi dimenticarle
e continuare ad essere gli stessi di prima.
Mauro
Matteucci