È l'undici
luglio dell'anno 1995, io mi chiamo Suljo, sono jugoslavo, ho quarant'anni e,
prima che l'inferno divorasse la mia città, lavoravo allo stabilimento termale
del Monte Guber.
È
l'undici luglio 1995 e ho una moglie, una figlia di quindici anni e un'altra
che le sarà sempre più giovane di due anni. Sono bellissime: bionde come la
madre, con gli occhi verdi come i miei e profumano di mela e di prugna. La
"piccola" è diventata signorina l'altro ieri. Sul suo viso brillavano
lo stupore, un po' di paura e la felicità di essere finalmente donna, come sua
sorella.
È
l'undici luglio 1995 e questo è il quarto anno di guerra. Da che è iniziata
questa follia collettiva non ho ancora visto il nemico, non ho sentito l'odore
del sangue mischiato alla terra, i miei occhi non hanno ancora incrociato una sola
morte violenta. Certo, c'è l'orrore dentro i discorsi di Avdo, Emir, Mujo, i
miei ex colleghi dei bagni termali, ma io penso che esagerino.
È
l'undici luglio 1995 e a noi non succederà, con i serbi di qui siamo sempre
andati d'accordo. Serbi... mi fa quasi sentire ridicolo usare questa parola:
suvvia, noi siamo tutti Jugoslavi! Fratellanza e unità, è così che i nostri
genitori partigiani ci hanno cresciuto. Siamo fratelli.
È
l'undici luglio 1995 e i nostri fratelli sono penetrati nella mia città, Srebrenica.
Fa molto caldo. In città sembrano tutti impazziti e serpeggia il terrore. La
fame gioca brutti scherzi e, lo devo ammettere, non stiamo mangiando come dovremmo
da ormai troppo tempo. La maggior parte della cittadinanza ha deciso di
spostarsi alla base Onu di Potočari per
chiedere protezione ai soldati olandesi del Dutchbat.
È l'undici luglio 1995 e sapevo che non era
una buona idea venire qui. Siamo migliaia, non si respira e siamo stanchi, così
stanchi da non riconoscerci neanche più fra di noi. Una voce squilla dagli
altoparlanti per dirci che il generale Karremans, il comandante del Dutchbat,
ha deciso di farci uscire.
"Uscite dalla base in gruppi da cinque e andate
dai serbi che vi porteranno al sicuro".
Visto? Potevamo risparmiarci queste ore di agonia,
stipati qui dentro come se fossimo carne da macello. Siamo uomini, siamo esseri
umani. Dignità!
È l'undici luglio 1995 e siamo solo uomini.
Siamo maschi, implotonati in gruppi di cinque, camminiamo stretti in un
corridoio di mimetiche sdrucite. Ho paura. Ho dovuto abbandonare la mia
famiglia. Sono preoccupato per le mie bimbe. Bimbe... oh, se mi sentissero... mi
correggerebbero subito, un po' piccate: "Donne, papà, donne!". Ho
paura per loro. Spero abbiano trovato un angolo quieto in cui rifugiarsi, in
attesa del mio ritorno.
È l'undici luglio 1995 e i nostri fratelli ci
spintonano coi calci dei loro fucili automatici e si sentono, sempre più vicini,
spari, rantoli e urla di donne disperate. Non riesco a respirare, sono agitato,
improvvisamente mi sono venuti crampi fortissimi alla pancia, ho la gola arsa e
tremo.
Tremo di paura.
Mi fermo un attimo.
Mi giro indietro.
Vedo la base dell'Onu, vicina, dietro di noi.
Vedo la mia vita, dietro di me.
Odoro pericolo.
Annuso sciagura.
Mi volto nuovamente in avanti...
È l'undici luglio 1995 e mi volto nuovamente
in avanti...e la prima e l'ultima cosa che vedo è una belva in mimetica che ha
trovato la mia piccola e si è accorta che è diventata donna.
Non sento più nulla.
Sono sordo.
Non ho caldo.
Non sento stanchezza.
Vedo solamente, e non vorrei farlo.
Mi scaglio in avanti, verso la mia piccola, urlando.
Mi si squarcia il cuore. Mi esplode la testa, sotto
il tocco feroce del piombo di un kalashnikov.
Cado.
Buio.
È l'undici luglio 1995 e sono morto oggi,
guardando l'orrore. Le ultime immagini, quelle che mi hanno straziato l'anima,
mi ripassano di continuo davanti agli occhi. Non mi è bastato morire, vedo
ancora, anche qui sotto, sepolto da centinaia di altri corpi, di altri padri,
di altri fratelli, di altri mariti, di altri figli. Alcuni li conosco, altri
no, ma al fondo di una fossa imputridisce il nostro destino comune.
Risoluzione 819, risoluzione 824, risoluzione 836 e
nessuno fece nulla.
Siamo morti, siamo sconosciuti, siamo i puntini di
sospensione dopo 8.372...
Siamo gli zeri che definiscono l'abiezione della
parola "genocidio".