Srebrenica
e il Tribunale delle Donne
I vent’anni trascorsi dal genocidio di
Srebrenica rappresentano la misura temporale vicina e allo stesso tempo
necessaria per avere una prospettiva storica dei fatti. I protagonisti sono
ancora vivi, i testimoni pure, i luoghi quasi intatti. Non sentiamo la
necessità, come per la prima guerra mondiale, di storicizzare troppo l’accaduto.
Di mettere nel contesto storico i nomi, le etnie, le religioni, gli atti dei
criminali, delle vittime. Ma non bisogna mai racchiudere le vite perse solo in
due date con un trattino in mezzo, la data di nascita e quella di morte. Quanto
è accaduto è limpido e trasparente come non mai, si sa oramai tutto, non ci
sono dubbi… eppure, qualcosa manca. Mancano istituzioni efficienti e adeguate che
sappiano punire, fermare e raccontare il delitto. Perché altri genocidi sono
successi e succedono, perché forse per Srebrenica manca una Hannah Arendt che a
Gerusalemme, durante il processo a Eichmann, descrisse la banalità del male
senza prendere parte etnica o politica.
E vent’anni dopo, oltre a ricordare, che
fa male, molto male alle persone coinvolte, ma fa bene, molto bene a coloro che
tutt’ora lo ignorano, bisogna anche vedere come si fa o si è fatto a superare
un trauma storico come questo, in mezzo all’Europa. Crescere e andare oltre: le
uniche che hanno lavorato duramente e nella direzione della costruzione della
pace sono state le donne. Hanno parlato con i sopravvissuti, raccolto i
racconti – soprattutto delle donne vittime di violenza di qualsiasi tipo –,
hanno scritto così la storia alternativa. Lo hanno fatto con libri, incontri e,
nel gran finale, con l’incredibile istituzione del primo Tribunale delle Donne
in Europa che si è tenuto lo scorso maggio a Sarajevo. I tribunali ufficiali
sono stati finora inadeguati e inefficienti, ma il Tribunale delle Donne, composto
da sopravvissute, da protagoniste, da teoriche ed esperte, pur senza una vera
forza legale ha messo a punto il quadro storico in tutte le sue sfumature dando
dei consigli per un futuro di riconciliazione e di pace nella regione. La vera
via pacifista e pacifica in fondo può essere percorsa solo da coloro che hanno
vissuto la guerra e da coloro che non portano vendetta e persecuzione nel loro
agire. E questo sono quelle donne. Il tribunale è stato organizzato dalle Donne
in nero della Serbia – di cui io sono parte –, quella stessa Serbia da dove è
partito il male, insieme a molti altri gruppi di pacifiste, attiviste
femministe della regione, seguite da femministe esperte internazionali. È stato
un momento storico, da ricordare e da unire alla data del genocidio di
Srebrenica, così che le vite perse possano riconquistare la loro dignità e noi
un po’ di speranza.
Jasmina Tešanović