Sono andata per la prima volta a Srebrenica nel maggio del 2013,
con un gruppo meraviglioso di persone.
Il mio viaggio per andare “oltre”, perché in alcuni casi, non bastano
i libri, i documentari, i racconti di persone che ci sono state. Io sono
convinta che in alcuni luoghi, si ha il “dovere morale” di andarci.
Dopo aver visitato Sarajevo e Tuzla ci siamo diretti proprio lì,
in questo paesino separato dalla Serbia dal corso della meravigliosa Drina.
Arrivati a questa “famosa” enclave
che tanto interessava i serbi, ho visto un paese fantasma, poca gente per
strada, dove in troppi non hanno lavoro. Non siamo scesi dall’autobus, abbiamo
fatto solo un giro del paese passando vicino al campo da basket dove sono stati
trucidati i bambini di una scuola durante l’intervallo. Poi ci siamo diretti al
memoriale di Potočari e solo allora, in quel posto, ti rendi ben conto di
quello che è successo, quelle colonnine bianche, sterminate per una
interminabile distanza, ti fanno riflettere. Rifletti su quanto sia stato
assurdo che queste persone spinte dall’odio – o per meglio dire dalla sete di
potere di altri – si siamo fatti soggiogare così tanto da uccidersi tra di
loro. Un piano ben macchinato, perché tanto a morire erano gli altri, uccisi,
secondo la logica comune dall’odio religioso, quando la religione non c’entrava
assolutamente nulla.
Ogni volta che torno in Bosnia sistemo meglio un piccolo tassello,
perché sono troppi i grovigli che hanno alimentato questo odio assurdo verso
l’altro, in un Paese che era l’eccellenza della tolleranza e della civiltà. Ora
resta solamente desolazione, disperazione, lutti che non possono essere
elaborati, perché non si sono ancora ritrovati i corpi di tutti i bosniaci
musulmani uccisi e seppelliti nelle fosse comuni.
Come può ripartire un Paese dove non si è fatta giustizia? Credo
che la giustizia sia una buona base di partenza, anche per un Paese i cui
governanti stanno svendendo il meglio a noi, i Paesi del cosiddetto “Occidente”,
per una manciata di monete, lasciando ancora di più le persone nella miseria.
Dove la corruzione è a livelli inimmaginabili, ma noi italiani lo possiamo ben
capire, perché abbiamo lo stesso sistema. Ci stiamo avvicinando sempre più a
quello della ex-Jugoslavia.
Senza giustizia non si va da nessuna parte e senza memoria non si
va avanti ma si retrocede solamente.
Parlare del genocidio
vuol dire dare ancora una speranza a queste persone, perché una volta persa la
speranza, allora si muore veramente.
Nadia Ravioli