L’ipocrisia,
il cinismo e l’indifferenza della politica interessata solo al potere, fa sì
che ancora, a Srebrenica per esempio, le vittime degli orrori debbano vedersi
quotidianamente davanti, impuniti, arroganti, beffardi, minacciosi – spesso
trasformati in eroi –, molti dei loro carnefici o quelli dei loro cari sepolti
in fosse comuni o fatti a pezzi e conservati in frigoriferi, gli stupratori
individuali e di massa, e non possano elaborare immani sofferenze e lutti
atroci. Noi piccoli o grandi militanti della Memoria e attivisti dell’integrità
inviolabile dell’uomo, ci sentiamo presi alla gola da un insopprimibile senso
di impotenza sfregiato da revisionismi e negazionismi. Qualcosa però possiamo
farlo, ridefinire per esempio il Giorno della Memoria e la sua cultura, per
farne il “Giorno delle Memorie” riorientandone il senso. Bisogna far capire che
le vittime, i loro cari e tutti quelli che al loro fianco si impegnano a
chiedere giustizia, compiono un magistero di paradossale pietas: quel
giorno deve e dovrà essere soprattutto per le nazioni, le classi e le genti che
nutrirono, fecero crescere i carnefici o semplicemente non li fermarono e
permettere loro di edificare nel futuro delle società di giustizia e di pace. È
ora di far capire alle giovani generazioni che nulla è più infame in questo
mondo per una persona, per un gruppo, per un villaggio, una città, un’istituzione,
una nazione, che essere carnefici e aguzzini dei propri simili inermi e che
nessuna situazione, neppure la più estrema, giustifica una simile viltà.
Moni
Ovadia