lunedì 7 aprile 2008

Intervista sull'El Dorado

Luca Leone

La conquista e la devastazione dell’America Latina nel nome della ricerca del mitico El Dorado, narrata attraverso gli occhi e la penna di un viaggiatore d’eccezione, naturalmente genovese: questo è La ricerca dell’El Dorado. La conquista europea del nuovo mondo (Infinito edizioni, febbraio 2008, pagg. 192, € 14,00), un libro che va alle radici umane, sociali, materiali e “mitologiche” dei soprusi compiuti dal 1492 all’era moderna dai conquistadores ai danni delle popolazioni autoctone.

Yuri Leveratto, viaggiatore classe 1968, è l’autore di questo volume, che Giuseppe Esposito, autore della prefazione e insegnante d’italiano nelle università di mezzo mondo, ha ben definito come il “viaggio personale per scoprire quell’El Dorado, quella finalità, quell’utopia che sta dentro di noi, ma che da solo non viene fuori, e ha bisogno di altri luoghi fisici e di altre persone che maieuticamente aiutino, come la levatrice, il parto…”.

Abbiamo raggiunto Yuri Leveratto in Colombia, dove vive e lavora, per parlare non solo del suo sforzo saggistico ma anche dell’America latina oggi e dei danni, non di rado irreparabili, lasciatisi alle spalle dai conquistatori europei.


Perché un genovese trasferitosi a vivere in America Latina a un certo punto ha sentito il bisogno di scrivere un libro sulla "conquista europea del Nuovo Mondo"?

Quando si viaggia in America, specialmente quando si viene a contatto con le popolazioni native, ci si rende conto che nel corso dei secoli passati, ma anche nell'era contemporanea, sono state perpetrate ingiustizie continue verso i popoli autoctoni. Nel condividere con loro tempo ed emozioni, si inizia a capire che l'uomo europeo ha stravolto completamente quello che era un insieme di duemila popoli. Ci si convince per esempio che Colombo non ha affatto scoperto l'America, come si suol dire. D’altrone, come si fa a scoprire un territorio già abitato stabilmente da circa 60 milioni di persone? L'audace navigatore ha "solo" aperto una via marittima per la conquista, la colonizzazione europea e il saccheggio del continente americano. Tutto quello che è venuto dopo – tratta degli schiavi, encomiendas, sfruttamento delle miniere (per esempio a Potosì) – è stato un susseguirsi di duri colpi agli indigeni nonché ai neri americani. Dagli enormi guadagni derivati dal traffico di schiavi, gli inglesi hanno gettato le basi per il loro invadente capitalismo (non a caso la Banca d'Inghilterra è stata fondata nel XVII secolo).

L'America ancora porta su di sé dei segni così evidenti della colonizzazione europea?

Senza dubbio, sicuramente in forme diverse da quelle dei secoli passati: non c'è più l'encomienda dove gli indigeni venivano sfruttati lavorando 15-20 ore al giorno e in cui inoltre erano vessati con ingiusti tributi, però ci sono le multinazionali, che ottengono dai governi nazionali il permesso di sfruttare ricchi giacimenti petroliferi (a volte in territorio indigeno), in cambio di concessioni delle quali spesso non beneficia la popolazione più svantaggiata.

Qual è il cuore del libro e a chi intende parlare?

Il cuore del libro sono le etnie, che descrivo raccontandone la vita e le credenze religiose. Dopo le etnie narro del conquistador che le ha annientate, non perchè superiore sul piano del coraggio ma perché enormemente avvantaggiato dall'impatto devastante dei virus, che furono inconsciamente trasportati dagli europei, e dalla superiore dotazione bellica: archibugi, spade di ferro e animali sconosciuti in America, come il cavallo. Si stima che i virus e i batteri trasportati dagli europei falcidiarono circa 50 milioni di persone nei primi 60 anni della conquista europea: l'80% dei nativi morì, spesso di vaiolo ma anche di influenza o varicella, malattie contro le quali gli europei avevano già sviluppato anticorpi, gli autoctoni no. Il libro è rivolto a tutti ma in special modo ai giovani. Spero che, leggendolo, possano cambiare la loro visione verso le etnie dimenticate e spesso vituperate, non solo del continente americano ma anche di quello africano, dal quale in tanti migrano verso la cosiddetta Europa ricca in cerca di un futuro migliore.

Al di là dei Colombo e dei Cortez, in pochissimi sanno che anche nel XX secolo, e forse anche oggi, ci sono uomini che ancora hanno cercato o cercano l'El Dorado. Puoi raccontare qualcuna di queste storie?

L'El Dorado come leggenda è più viva che mai. Nel XX secolo furono molti gli esploratori e i cercatori che si inoltrarono nella selva. L'inglese Percy Harrison Fawcett si distinse per una spedizione leggendaria nella quale perse la sua stessa vita. Successivamente ci furono le imprese di Carlos Neuenschwander Landa nel periodo dal 1960 al 1970. Da quando, nel 2001, il Professor Mario Polia ha scoperto, negli archivi vaticani, una lettera del missionario gesuita padre Lopez, diretta al Superiore dei gesuiti del tempo, il mito si è ravvivato. La lettera descriveva l'El Dorado, situato nel dipartimento peruviano Madre di Dios. Anche nel secolo attuale alcuni avventurieri e archeologi hanno cercato l'El Dorado: si ricorda per esempio la famosa spedizione di Jacek Palkiewicz che nel 2002 ha trovato resti di civiltà pre-incaiche nel Madre de Dios. Questo e altro è diffusamente raccontato nel mio libro.

Che cosa era per l'uomo europeo l'El Dorado e che cosa è per l’autore Yuri Leveratto?

Per l'uomo del XVI secolo era un luogo reale dove si viveva nell'opulenza, dove i piaceri materiali erano completamente esauditi. Lo cercò nel lago di Guatavita, da dove si originò la leggenda del indio dorado, e negli altipiani del Meta, nell'odierna Colombia. Anni dopo cercò di trovarlo nelle foreste della Guayana e nell'Amazzonia peruviana, ma sempre senza esito.

Per me l'El Dorado è solo un luogo dove i popoli possano vivere in armonia, con uguali opportunità e con rispetto reciproco.


Tra i tanti conquistadores segnalatisi per la loro brutalità e per l'incapacità di capire e rispettare le popolazioni locali, è possibile trovare almeno un nome di qualcuno di questi avventurieri che cercò l'El Dorado non per brama di ricchezza ma per puro e positivo spirito d'avventura?

La maggioranza degli avventurieri che cercarono l'El Dorado si sono scontrati con le popolazioni native, quando forse sarebbe stato più intelligente capire i loro usi e costumi e soprattutto la loro mitologia per avere più possibilità di raggiungere comunità sperdute che facevano largo uso d’oro. La mentalità spagnola del tempo, ovvero il saccheggio e la depredazione, a differenza della mentalità mercantilistica degli inglesi del secolo successivo, non fece altro che ridurre il continente al disastro, sia provocando il genocidio sistematico dei nativi, sia sfruttando indiscriminatamente le risorse. Uno degli El Dorado trovati, la miniera d'argento di Potosi, fu sfruttato per decenni fino a quanto la vena si esaurì e con essa anche i nativi che, costretti a lavorarvi, furono decimati dalle malattie e da condizioni di lavoro inumane. Tra i conquistadores del XVI secolo comunque, fu Francisco de Orellana colui che ebbe un approccio più dolce nei confronti dei nativi. Aveva infatti imparato il quechua e alcune lingue amazzoniche e, nella sua spedizione nel Rio delle Amazzoni, utilizzò le armi contro i popoli tribali solo per difendersi.

Se oggi un Colombo casualmente trovasse un'America, credi che la storia si ripeterebbe o che almeno una parte dell'umanità abbia imparato la lezione (ma, se così, si tratta della parte "giusta")?

Si, credo che si ripeterebbe, purtroppo, in quanto gli esempi che abbiamo sott'occhio tutti i giorni non fanno che ribadire che i popoli che si trovano su un piano tecnologico superiore, o che gestiscono la finanza internazionale, si adoperano per attuare accordi e contratti con i popoli più poveri non perchè spinti da spirito caritatevole ma per ricavare lucrosi profitti e mantenere posizioni di privilegio conquistate nei secoli passati attraverso saccheggi, commerci infami come la tratta degli schiavi e ingiustizie. Non esiste una parte giusta dell'umanità, a mio parere, e nessuno Stato è perfetto. Non per questo dobbiamo smettere di lottare contro le ingiustizie, denunciare i misfatti e, con metodi pacifici e democratici, tentare di affermare il diritto.

Per ulteriori informazioni sul libro e sull’autore:

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