martedì 22 aprile 2008

Quella collina da salvare a tutti i costi

In libreria “Il memori@le della collina”, di Andrea Griseri

È in libreria per i tipi di Infinito edizioni il romanzo d’esordio di Andrea Griseri, torinese come gli illustri ospiti che hanno firmato la prefazione del volume (il Premio Bancarella Federico Audisio Di Somma) e l’eccezionale saggio finale (il sociologo e scrittore Marco Revelli).

Al centro del libro vi è la mite e saggia follia che coglie uno psichiatra nella sua disperata, grottesca, titanica, divertente lotta per salvare una collina dalla cementificazione e dalla lottizzazione. È questa la chiave usata da Griseri per affrontare la più attuale e drammatica delle realtà italiane: la devastazione del territorio di tutti per l’interesse economico di pochi.

«La follia sembra sancita da una forza superiore e coinvolge, insieme al destino del protagonista, l’ecologia di un mondo perduto», spiega nell’introduzione Federico Audisio di Somma, vincitore del premio Bancarella, cogliendo dietro l’ordito della narrazione il significato nascosto e metaforico della collina.

Fiaba ecologica, inno carico di simpatia viscerale per i reietti (purché si tratti di reietti intelligentemente in controtendenza, cioè simpatici), tentativo di ritorsione letteraria contro gli egoisti avidi che consumano irreversibilmente la madre terra e protesta ironica e sommessa contro il conformismo pervasivo e l’ipocrisia: qualche volta i diversi riescono a vincere una battaglia, la musica neoclassica e il corpo di ballo psicolabile riescono a respingere l'assalto delle ruspe ma il “generale” terminerà i suoi giorni recluso per contrappasso in un manicomio.

È questo il Memori@le della collina. Ma soprattutto è una metafora dai molteplici significati, perché «folli, più folli dei pazienti rinchiusi nella casa di cura del prof. Geremia, sono i protagonisti “normali” del racconto. Quelli, appunto, che dovrebbero incarnare la “normalità” del nostro modo di vivere quotidiano: il geometra cementificatore, gli impresari edili, ingegneri, architetti, persino il Sindaco, che svende l’habitat della propria comunità territoriale con svagata nonchalance» (dal saggio finale di Marco Revelli).

Andrea Griseri, perché alla fine del libro hai voluto pubblicare un appello per la salvaguardia della Val di Cornia?

Avvertivo l’esigenza di ancorare un racconto che nasce dalla pura fantasia a una situazione concreta. In tutta la penisola le aggressioni al paesaggio sono purtroppo diffuse da anni ma si registra un risveglio della coscienza civile; l’auto-organizzazione di cittadini che si sentono veramente tali e si riuniscono in gruppi e comitati di azione merita incoraggiamento; è oltretutto una grande risorsa democratica in tempi di crisi della rappresentanza…ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano.

Il “sublime “ psichiatra protagonista del romanzo gradualmente impazzisce. Sullo sfondo dell’intero lavoro aleggia una follia “buona”, sorta di fuga dal mondo malvagio che trasforma le colline in fungaie di cemento. Perché il protagonista è un folle? È folle pensare di salvare una collina in un mondo dominato dal profitto?

Lo scrive Marco Revelli nella postfazione: chi è il folle? Gradualmente lo spazio della normalità viene divorato da colonizzatori avidi e senza scrupoli che impongono la loro legge e la loro morale; chi resta fedelmente abbarbicato alla propria sottile striscia di terra, il territorio “astratto” della normalità, appare eccentrico e viene emarginato o addirittura recluso.

Perché oggi la salvaguardia dell’ambiente è tematica di parte e non base comune a tutti i politici, gli amministratori, i cittadini?

È in parte un’anomalia italiana. In molti paesi del nord Europea la tutela dell’ambiente è tema trasversale. Anche se certe repentine consapevolezze celano improvvisazione e polpette avvelenate. Preoccupa la scarsissima sensibilità diffusa nei paesi, soprattutto asiatici, che si stanno affacciando prepotentemente alla ribalta mondiale. Questo sarà “il problema” dei prossimi anni. L’Italia come sempre è un caso a parte: la recente retorica bi-partisan del partito del fare (che fa rima sgradevolmente con affare) parla di grandi opere purchessia (la logica dell’oeuvre pour l’oeuvre, è il neodandismo dei cementificatori) anziché di investimenti in energie rinnovabili e di micro-mercato dell’energia (tutti produttori come in certi Lander tedeschi), di inceneritori anziché di gestione integrata del ciclo dei rifiuti, dalla produzione al riciclo. Siamo una terra di mezzo, incapaci di sedere fra le nazioni avanzate.

Quanto la tua esperienza di ambientalista ha influito sulla scrittura del romanzo e in cosa vorrebbe che l’ambientalismo italiano cambiasse?

La difesa del territorio è una costante del mio impegno: si tenga conto che questo non è “solo” un romanzo ambientalista. La collina è una metafora più ampia. L’ambientalismo italiano? Innanzitutto meno frazionismo e meno personalismi.

Nel memoriale della collina sono memorabili le descrizioni dei nemici dell’ambiente e il modo in cui ne distruggi pezzo per pezzo, senza cattiveria, la credibilità. Alla fine però sono proprio questi buffoni, queste maschere, a vincere la partita. Perché un finale così eroico ma così amaro?

Direi agrodolce. In fondo le ruspe si ritirano sconfitte e dietro le telecamere che immortalano l’evento si indovina un’opinione pubblica finalmente risvegliata (importante la sprovincializzazione della vicend. Ogni tanto viene abbattuto un ecomostro: mai per volontà di qualche piccolo amministratore locale ma sempre grazie a qualche ministro sensibile). L’eroe, lo psichiatra, vince e soccombe. Anche il suo progetto terapeutico innovativo che gli aveva procurato notorietà (è in fondo un epicentro narrativo minore del libro) fallisce. Il puro folle soccombe di fronte ai colleghi invidiosi dopo avere sconfitto i meschini palazzinari. Forse nel suo soggiorno obbligato ha raggiunto la saggezza. Forse sa che in ogni caso la pienezza della felicità è irraggiungibile.