mercoledì 15 aprile 2009

Viaggiatori responsabili, non Indiana Jones


Come viaggiare in qualsiasi parte del mondo, fare vere esperienze, risparmiare e tornare felici

Se siete Indiana Jones alla ricerca disperata dell’ultimo popolo antropofago da sfidare, quest’intervista non fa per voi. State perdendo tempo. Se siete viaggiatori – responsabili e non, perché diventarlo è possibile (e facile) in qualsiasi momento – siete invece arrivati sul link giusto. Qui si parla di turismo responsabile e di rispetto dei luoghi e delle persone in cui e verso cui si viaggia, partendo da un semplice presupposto: viaggiare non vuol dire mettersi anima e corpo (e portamonete) in mano ad aziende turistiche che curano ogni dettaglio della tua vita a pagamento per un certo numero di giorni ma lasciare la propria terra per incontrarne e conoscerne un’altra sotto vari aspetti, dagli odori ai sapori, dalle usanze alla lingua, dai mezzi pubblici ai ristoranti veri (non quelli dei resort in cui trovare persino gli spaghetti) fino a quei panorami magari non da cartolina ma comunque assolutamente caratteristici e pur tuttavia non “degni” di finire nel tour preconfezionato spacciato di solito come “unico” al turista-cliente (a volte “pollo”).

Di turismo responsabile e dei suoi diversi aspetti parliamo con Roberto Dati, fondatore dell’associazione Retour e autore da poco (gennaio 2009) di un ottimo, divertente e ricco manuale – Il viaggiatore responsabile. Un altro turismo in Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina (Infinito edizioni, pagg. 208, € 14,00) – in cui, dettaglio non risibile, vengono riportati non solo i contatti delle associazioni italiane che si occupano di turismo responsabile ma anche di quelle attive nei Paesi in cui si viaggia.

D. Roberto, qual è, dal titolo del tuo libro, il ritratto del viaggiatore responsabile tipo?
R. È una persona – in prevalenza donna – curiosa di altre culture e di altri popoli; è mediamente di buona cultura; è un consumatore attento (ad esempio, spesso acquista prodotti del commercio equo o biologici); viaggia molto e ha fatto diverse esperienze di viaggio.

D. Quale potrebbe essere, dunque, una definizione di viaggiatore responsabile?
R. È un po’ arduo fornire una definizione univoca… Comunque, possiamo dire che il viaggiatore responsabile è chi cerca di coniugare vacanza e “impegno”, inteso sotto più profili: culturale (il viaggiatore responsabile vuole conoscere bene il Paese che visita), ambientale (cerca di ridurre il più possibile il proprio impatto), sociale (contribuisce, per quanto può, a progetti di solidarietà incontrati in viaggio).

D. Nel tuo libro si legge di viaggi splendidi. Quali sono i vantaggi di un “viaggiare diverso”, tanto per il viaggiatore quanto per le comunità che visita e per l’ambiente?
R. Beh, per il turista si tratta di compiere un’esperienza più interessante di quelle proposte generalmente dall’industria turistica, perché visitare un Paese in accordo con gli esponenti della sua società consente una profondità e una autenticità che nessun tour organizzato può garantire. Questo vale anche per chi fosse interessato anche soltanto agli aspetti naturalistici o balneari, perché il contatto con i locali avviene comunque, e più genuino è il rapporto con costoro, meglio è per il viaggiatore.
Quanto alle cosiddette comunità locali, la scommessa del turismo responsabile è di apportare loro il massimo beneficio possibile sia in termini economici, perché i turisti utilizzano servizi forniti da piccole imprese locali, sia in termini di impatto culturale, perché i turisti sono preparati all’incontro con una realtà molto diversa dalla loro e vengono “educati” prima di partire a interagire in modo corretto con chi li ospiterà.

D. Quando e come è cominciata la tua avventura nel turismo responsabile?
R. Nel 1999, quando ho partecipato, da turista, a un viaggio organizzato da RAM, creatura di Renzo Garrone, il “pioniere” del turismo responsabile in Italia. Ero in cerca di qualcosa che mi permettesse di unire la mia passione per il viaggio al desiderio di dare una mano ai popoli più svantaggiati: il turismo responsabile era ciò che cercavo, e ho subito iniziato a collaborare con Garrone, ma anche con altre organizzazioni e progetti, fino a dar vita, nel 2005, a un’associazione del tutto nuova, Retour, con cui ho continuato a promuovere il turismo responsabile.

D. Il viaggio più bello che hai fatto e perché.
R. Difficile scegliere… Forse il primo viaggio a Cuba, perché era la prima volta nella tanto sognata isola della revolución, perché ho incontrato tante persone impegnate a salvaguardare la parte migliore di quella revolución, perché abbiamo girato l’isola in lungo e in largo, arrivando a guadare un torrente sulla Sierra Maestra a bordo dell’auto noleggiata, e perché tra i compagni di viaggio c’era quella che poi è diventata mia moglie!

D. E quello che ricordi invece come un incubo (se c’è stato)?
R. No, incubi non ne ho fatti – per fortuna! Semmai qualche momento difficile, come in Vietnam, quando sono stato preso in mezzo da alcuni loschi individui che gestivano in modo mafioso il business delle escursioni sul delta del Mekong (ne parlo nel libro), o come in Russia, nel corso del viaggio in Transiberiana, quando una sera, dopo una cena in un ristorante di Krasnojarsk, la cameriera ci ha suggerito di non prendere il taxi perchè molti passeggeri erano stati derubati dai tassisti…

D. È così difficile diventare viaggiatori responsabili, o quella che ci manca è, innanzitutto, buona volontà?
R. Il viaggiatore responsabile non è una specie di santo, semplicemente bisogna accettare di dedicare una parte del proprio tempo e delle proprie energie a chi si incontra nel corso del viaggio, insomma bisogna mettersi un po’ in gioco anche se si è in vacanza.

D. Quelli che proponi e di cui parli nel libro sono viaggi per tutti?
R. Direi proprio di sì. Non credo nel turismo estremo o d’avventura, in cui il viaggiatore deve trasformarsi in una sorta di Indiana Jones. Parafrasando un noto cantautore, qui l’impresa eccezionale è essere normale: possiamo tradurlo con “consapevole”, “sostenibile”, “rispettoso”, per l’appunto “responsabile”, parola che non deve spaventarci perché si tratta di una responsabilità in primo luogo verso noi stessi, verso il nostro diritto a fare un’esperienza bella, utile e quindi migliore di quelle spacciate su cataloghi patinati come vacanze da sogno.