venerdì 8 maggio 2009

Nella Birmania dei sorrisi e delle violazioni dei diritti umani

Un libro fotografico di Marco Buemi racconta il Paese asiatico come non mai prima.

Marco Buemi ha appena pubblicato per Infinito edizioni il volume fotografico da titolo “Birmania. Oltre la repressione”. Si tratta di una splendida raccolta di immagini a colori, ciascuna accompagnata da note essenziali per inquadrare il Paese, scattate dall’autore durante i drammatici giorni della rivolta del 2007 dei monaci buddisti, repressa nel sangue dalla reazione smisuratamente violenta dei generali birmani al potere. Quelle di Buemi sono foto di vita comune, di campagna, di grande dolcezza e al contempo durezza, capaci di raccontare spaccati di vita sconosciuti al grande pubblico. Un libro prezioso, quello di Buemi, di grande formato (24x26 centimetri) e basso costo: solo 16 euro.
Qui abbiamo brevemente parlato con l’autore del suo ottimo libro.

D. La Birmania è tristemente nota per la ferrea dittatura che governa il Paese e per le palesi violazioni dei diritti umani. Si parla – le poche volte in cui lo si fa – sovente dei militari, ma quasi mai delle persone. Chi sono e come vivono i comuni cittadini birmani?
R. Chi visita questo Paese non riesce a capire immediatamente quanto sia difficile la vita quotidiana dei birmani. L’impressione è quella di una serenità apparente, le immagini che ricorrono sono quelle di un popolo che sorride e saluta a ogni incontro e spostamento, a piedi, col bus o in risciò, ma più si viaggia all’interno del Paese e più si capisce che dietro i sorrisi delle persone che si incontrano per strada c’è qualcosa di più. La Birmania ha, infatti, una “storia” consolidata di violazione dei principi fondamentali in tema di lavoro forzato, utilizzo di bambini soldato, protezione della condizione delle donne e in genere di tutela di ogni diritto fondamentale.

D. Che cosa ti è rimasto più impresso del tuo viaggio in Birmania e come hai voluto riportarlo nel tuo libro?
R. La cosa che mi è rimasta più impressa fin dal mio arrivo in Birmania è stata la gentilezza e disponibilità della gente incontrata lungo il mio percorso. Nel mio libro cerco di raccontare un popolo dolce e gentile, ricco di etnie, colori, paesaggi, storia, bambini e cose di tutti i giorni. Una delle cose che mi ha colpito di più è che, nonostante le magre risorse del Paese, il regime militare è riuscito a creare un sistema di sorveglianza di ineguagliata intrusione. Bastano un paio di esempi: gli autobus di linea vengono fermati continuamente ai posti di blocco creati appositamente per avere un controllo sugli spostamenti, i passeggeri devono così scendere ed esibire i propri documenti di identità e ogni famiglia in Birmania deve registrare presso l’autorità locale tutti i suoi membri; nessuno può passare la notte in un’altra casa senza il permesso dell’amministrazione locale.

D. Nel volume sono molte le foto di campagna, di vita nei campi. Perché?
R. Circa l’80% della popolazione vive nelle campagne e si occupa di agricoltura. Chiaramente il lavoro non viene retribuito con un salario ma con una percentuale di prodotto raccolto. Sembra impossibile ma mezzo secolo fa, alla vigilia del primo colpo di stato militare del 1962, la Birmania aveva l’agricoltura più fertile del sud est asiatico e superava in ricchezza la Thailandia. Ora, invece, non è più così. Oggi il riso rappresenta il prodotto agricolo più coltivato mentre nelle regioni settentrionali, più aride, si coltivano cereali, patata, legumi e canna da zucchero.

D. Sei stato in Birmania nei giorni della rivolta dei monaci e della brutale repressione governativa. Hai avuto modo di avvicinare dei monaci e di farti raccontare storie?
R. In quei giorni era forte il controllo da parte del regime militare e si notava ovunque, nelle strade, nei monasteri, negli autobus e nei luoghi pubblici. Era difficile avvicinare le persone per farsi raccontare quello che stava succedendo e il reperire informazioni in modo sconsiderato avrebbe potuto mettere in pericolo i monaci. Durante il mio viaggio ho avuto modo di avvicinare alcune persone e da una in particolare mi sono fatto raccontare la storia della piccola Lulù e della sua famiglia. Si erano trasferiti sul lago Inle da Old Baga,n dove la popolazione era stata cacciata verso New Bagan per favorire il turismo. Come la famiglia di Lulù, centinaia di migliaia di persone sono state cacciate dalle loro case e costrette a spostarsi verso le “nuove città”, distanti decine di chilometri dai centri abitati.

D. Nel libro citi Aung San Suu Kyi e la sua lotta per la libertà. A che punto è oggi il regime e come potrà cadere?
R. Difficile prevedere, a oggi, una caduta immediata del regime, ma grazie alle continue missioni degli inviati dell’Onu e alle pressioni dell’Asean (Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale che ha come scopo principale la promozione, cooperazione e assistenza reciproca fra gli Stati membri per accelerare il progresso economico e aumentare la stabilità della regione) sulla Birmania, si può auspicare che venga rimessa in libertà Aung San Suu Kyi, che vive agli arresti domiciliari da 13 anni, e che siano messe in atto tutte le iniziative necessarie a ottenere che le elezioni del 2010 si realizzino sulla base di standard democratici internazionalmente riconosciuti con garanzia di piena agibilità politica di tutti i partiti e i candidati.

D. Una buona ragione per andare e una per non andare in Birmania…
R. Anche se da parte delle organizzazioni internazionali viene sostenuta una campagna di boicottaggio per visitare la Birmania, bisogna ricordarci che il viaggiare in questo Paese, nel giusto modo, potrebbe portare alla popolazione stessa grandi benefici. Il turismo, infatti, è rimasto per la maggior parte dei cittadini l’unica fonte di risorsa e reddito e rappresenta un modo per comunicare con il mondo esterno.

D. …E per comprare il tuo libro…?
R. Il mio libro ha voluto offrire una prospettiva sconosciuta agli occhi di quanti hanno seguito con ansia e speranza le marce pacifiche dei monaci e della gente birmana, sgomenti e indignati di fronte alla violenza cieca usata dai generali per fermare le manifestazioni democratiche. Le mie fotografie vogliono restituire al popolo birmano immagini semplici ed emozionanti, ritratti della vita di tutti i giorni.