Ordigno
nucleare o bomba all’idrogeno – e la differenza non è di quelle insignificanti…
–, l’ennesimo affronto al pianeta e all’umanità da parte del regime
dittatoriale nordcoreano mi ha fatto tornare in mente un episodio di ere
geologiche fa della mia umile carriera di giornalista.
Lavoravo,
a quel tempo, nella sede romana di un giornale di riferimento della sinistra
italiana, la cui direzione ostinatamente, tra le varie cose, continuava a
negare fatti ed evidenze storiche di non poco conto, non ultimo… il genocidio
di Srebrenica. Mi occupavo, con altri sfortunati par mio, della redazione
esteri e non era facile barcamenarsi in un contesto controllato dal figlio del
direttore, immeritatamente e sfacciatamente posto a capo di una redazione così
importante e non certo per meriti acquisiti sul campo.
A
quel tempo scrivevo soprattutto di Balcani, Europa Orientale e Africa, ma una
serie di casi (che nelle prossime settimane racconterò, perché legati a un
progetto editoriale in arrivo) mi spinsero a viaggiare un po’ nell’Asia più
lontana. Questo, agli occhi folli di chi comandava, mi rendeva un “esperto di
Asia”. Per questa ragione, quando arrivò in redazione un invito rivolto dall’ambasciata
nordcoreana al nostro direttore, il fax venne immediatamente girato a me e mi
ritrovai inserito nella lista degli invitati. E trattandosi di lavoro, non ci
si poteva di certo rifiutare.
La
sera convenuta mi presentai con la mia giacca scura d’ordinanza presso la sede
dell’ambasciata, dove ero il più giovane, il più ingenuo, il più fuori luogo, il
più sorpreso… C’era un nugolo di italiani, ospiti dell’ambasciatore. Che all’improvviso
comparve, pronunziò un applauditissimo discorso di regime e poi ci lasciò in
sala con abbondanti libagioni, celermente spazzolate via dai tavoli dal copioso
drappello di italioti presenti. C’era qualche giornalista di testate di
sinistra, qualche politico di estrema sinistra, probabilmente qualcuno dei
servizi segreti, alcuni più o meno oscuri sedicenti “imprenditori”, di sicuro altri,
che non riconobbi e non mi fu dato modo di riconoscere perché, in quanto
elemento estraneo, da estraneo fui trattato e rapidamente isolato da ogni
gruppetto nel quale cercavo di attaccare discorso per capire con chi diavolo
avessi a che fare.
La
serata si concluse con centinaia, migliaia di “ciao compagno”, “arrivederci
compagno”, “viva la Corea del Nord”, “viva la famiglia Kim”, eccetera. Niente
di straordinario, insomma: la conferma che c’è tanta di quella merda, in Italia,
che non basterebbe un buco nero per tirarla tutta via.