martedì 10 febbraio 2009

Lettera aperta agli uomini



Questa è un’intervista per “persone meravigliose, uomini e donne animati da piccoli e grandi ideali, accomunati dalla stessa passione per la giustizia e l’uguaglianza e dallo stesso desiderio di pace tra gli uomini e i popoli tutti”. Insomma, è un’intervista dedicata alla maggioranza dei cittadini di questo mondo, inclusa lei, Elisabetta Galli, l’autrice di una significativa, graffiante, a tratti velenosa ma mai polemica, sagace e persino sarcastica “<Lettera aperta agli uomini”. Un libro spiazzante e ricco di umanità edito da Infinito edizioni nel gennaio 2009, con un’ottima prefazione del giornalista Raffaele Masto. “Il libro di Elisabetta non si legge senza provare sentimenti ed emozioni vivi – scrive Masto nel suo intervento – Siamo nudi davanti ai nostri figli. Loro non hanno il coraggio o la lucidità di mostrare che ci vedono in tutta la nostra pochezza. E noi, pur sapendo che ci vedono in quel modo, ci comportiamo come se non ci vedessero. È una sorta di tacito devastante accordo. Ammettere le nostre colpe ci permetterebbe un abbraccio liberatorio”. Vediamo, allora, i confini di questa “pochezza”, che a volte pare di poter toccare con mano quando straborda dalla mediocrità televisiva o dalle parole scontate dei politicanti italici. E vediamo con questa insegnante milanese, ottima autrice, quali e quante sono queste “colpe” di cui parla Masto, partendo dal un presupposto fondamentale, che Elisabetta rammenta a se stessa e agli altri sgranandolo sillaba a sillaba, dolcemente ma decisamente: “Non si può essere felici se non si rendono felici anche gli altri”.

Elisabetta, la prima domanda è quanto di più scontato ma, da uomo, non posso non portela: che cosa scrivi a noi maschietti nella tua lettera?
Altrettanto scontata è la mia risposta: scrivo una lettera, intima e accorata, ma aperta ad ogni confronto e discussione con voi maschi, specialmente con quelli della mia generazione, con cui non ho avuto un rapporto né buono né facile. Diciamo che si tratta di una specie di urlo, lo sfogo di un’anima, una messa in discussione di tutti quei principi su cui, ipocritamente, molti uomini hanno detto di voler fondare una relazione, la comunicazione con l’universo femminile, ma finiscono invece molto spesso per affossarla. E non in malafede, mi preme sottolinearlo, ma proprio perché non riescono a capire. Si fermano prima, non ce la fanno.

Altra domanda scontata, ma inevitabile: perché ce l’hai così tanto con noi?
Hai ragione. Nel mio libro sono molto arrabbiata, indignata ma, se ci fai ben caso, lo sono coi miei coetanei, quelli nati tra gli anni ‘50 e i ‘60, quelli con cui “fummo giovani insieme”. Con i padri mi sono ormai riconciliata da tempo e verso i giovani nutro una sorta di tenerezza; sono figli nostri e se sono come sono è anche colpa nostra. Così questa mia indignazione, questa delusione amara, la riservo ai cinquanta-sessantenni d’oggi, quelli che più di tutti hanno tradito, tradito prima di tutto se stessi, le proprie compagne, il futuro, le cause giuste per cui lottare, la concezione della politica come strumento per cambiare il mondo e renderlo migliore, e ora si beano nelle loro piccole ambizioni, coccolano le loro manie, vivono nell’indifferenza e se il mondo va a rotoli se ne preoccupano solo nella misura in cui ci rimettono qualcosa. Il danaro, tanto per fare un esempio.

Mi pare di capire, in definitiva, che solo le nuove generazioni ci possono salvare. Però, onestamente, frequentando treni, autobus e scuole, sembra che non ci sia troppo da essere ottimisti. I giovani d’oggi sembrano non di rado cinici quanto i loro genitori, distaccati, arroganti e aggressivi. E, per di più – col clima politico imperante – assai distaccati rispetto alle problematiche politiche e civili, a differenza di chi, 20, 30 o 40 anni era al loro posto (e oggi magari è un borghese in crisi d’identità o un impiegato pubblico che si è arreso al senso di impotenza). È così o…
Secondo me non è così, o meglio, non è solo così. Sarà che, essendo una madre di 4 figli e un’insegnante, tendo ad assolvere i giovani perché li amo di più, ma anche perché quelli che sono prepotenti e arroganti e, aggiungerei, ignoranti, lo sono soprattutto perché sono i loro padri ad aver fallito. Che esempio hanno saputo offrire? Che obiettivi? Che significato hanno dato agli eventi, alla vita, alla scuola? E la televisione? Le trasmissioni insulse, quelle idiote, i grandi fratelli, le isole dei famosi, le veline sculettanti e cuor contento, chi le ha inventate? E la scuola? Chi l’ha ridotta così, solo forma e apparenza impeccabili e sostanza appena sufficiente? E la mancanza di curiosità intellettuale, di apertura mentale, di spirito altruista e solidale?
Ecco, penso che in gran parte questo dipenda proprio dagli uomini della mia generazione; sono loro che ora detengono il potere e che con questo potere hanno rovinato tutto e plasmato le nuove generazioni perché non diano fastidio e obbediscano agli ordini del Sistema che li vuole omologati. Tuttavia esiste una larga fetta di giovani che non rientra in questo quadro deprimente. È vero che pochi s’interessano di politica in senso tradizionale, per sfiducia e diffidenza, però fanno altro. Sto pensando all’associazionismo spontaneo, al volontariato, ai comportamenti aperti a una società multiculturale, a una forma mentis senza né confini né frontiere, che imparano le lingue per parlare con tutti i giovani del mondo, per viaggiare in maniera solidale e responsabile, per fare un anno di servizio civile internazionale per poi decidere magari di restare e condividere la vita di uomini e donne meno fortunati di loro o forse solo più poveri. Penso in particolare a quei giovani che si sentono cittadini del mondo e si sentono a casa dappertutto e tra i propri simili ovunque. Penso ai miei figli e ai loro amici, penso ai tanti ragazzi italiani che ho incontrato per le strade del mondo, che ho visto giocare a calcio con coetanei stranieri e ridere o piangere insieme, o convolare felici a nozze anche quando lo sposo o la sposa non parlavano un italiano perfetto, penso ai cortei per la pace e contro ogni razzismo. Ci sono giovani e giovanissimi, a migliaia.
Non voglio pensare ora alle orde del sabato sera, a chi sballa di più, a chi si ubriaca di più o a chi si sente qualcuno solo se veste firmato.
Tra i giovani mi sforzo di trovare il meglio.

La società italiana è sempre stata e continua a essere maschilista, a tratti persino machista. Ultimamente gli stupri sono diventati una consuetudine inquietante e allarmante, e solo di rado i colpevoli vengono identificati, salvo poi essere condannati a pene irrisorie. Se ne esce e come?
Io credo che la violenza contro le donne ci sia sempre stata perché l’uomo-bestia esiste, non si può negare. Semplicemente, oggi c’è più il coraggio della denuncia perché le donne sanno meglio che cosa sia violenza e perché vada sempre combattuta. Prima subivano in silenzio e chi denunciava si sentiva vittima due volte, come se l’onta della violenza subita avesse sporcato anche la donna. Oggi la donna sa quali siano i propri diritti e quali gli obblighi della società nei suoi confronti.
Anche i mezzi d’informazione ora sono più solleciti e attenti, sebbene prediligano informare sui casi di violenza ad opera di stranieri, meglio se clandestini; in questo modo non si fa che trovare il capro espiatorio delle nostre paure e insicurezze. La violenza va sempre condannata e punita, senza riduzioni di pena, in nessun caso. I violenti a piede libero sono troppi e tra questi ci metterei anche i clienti delle prostitute, magari padri di famiglia, che sfogano le loro frustrazioni su donne che ben pochi difenderebbero perché, se sono sul marciapiede, allora “se le vanno a cercare”. È vergognoso.

In tutto questo, però, una cosa sembra certa, ovvero che, ad esempio in guerra, chi subisce di più sono i civili, e tra di loro sempre e comunque di più bambini e donne. Penso in particolare allo stupro utilizzato come arma in guerra. È un problema culturale, una scelta deliberata o cosa?
Penso si tratti di una scelta deliberata e “scientifica”, come lo fu per il nazismo la “soluzione finale”. Togliere al proprio nemico ogni dignità, ridurlo a un pezzo di carne su cui sfogare i propri istinti peggiori, è ledere dalle fondamenta l’individuo, il popolo a cui quell’individuo appartiene e tutta la cultura e l’umanità di cui è portatore. Lo stupro è disprezzo diabolico, è annientamento dell’umanità. La soldataglia serba, per citare un esempio recente, quando si accaniva sul corpo martoriato delle donne musulmane di Bosnia, voleva colpire il seme stesso di quella cultura, perché è la donna che genera vita e che costituisce il punto d’origine di una stirpe; annientare quella donna è tagliare alla radice la possibilità di venire alla luce, è pulizia etnica, è rigurgito di un passato di tenebre, prima del primo respiro di una “razza” che non avrebbe mai dovuto venire ad abitare il mondo.

Le responsabilità sono tutte degli uomini o esistono anche delle responsabilità delle donne? In definitiva, non si potrebbe obiettare che, per una semplice legge fisica, “il più forte” (o, semplicemente, il più prepotente) occupa gli spazi lasciati vuoti dal “meno forte” (o, più semplicemente, dal più sensibile)?
Le donne sono diverse dagli uomini, è evidente. Non ci sono solo uomini forti e prepotenti, come non ci sono solo donne buone e sensibili; la differenza riguarda le priorità che ognuno di noi possiede. Gli uomini, complessivamente, antepongono ad ogni altra cosa il successo sociale, economico o politico, il successo che viene loro riconosciuto dall’esterno, dagli altri. Le donne al contrario, sempre generalizzando, vogliono prima di tutto sentirsi bene con gli altri, in famiglia, con il proprio compagno, con i figli, con i colleghi di lavoro. Preferiscono i rapporti profondi, la comprensione reciproca, l’intima soddisfazione. Se nella vita di una donna questi aspetti sono carenti, nessun successo potrà compensarli né sostituirli. Le donne lo sanno e tra loro se lo dicono, lo raccontano. Gli uomini no, non lo ammetterebbero mai, neppure con gli amici più intimi. E così continuano a tradire se stessi perché si sforzano di dimenticare che l’essere umano, costituzionalmente, vuole essere felice. E, come scrivo nel mio libro, non si può essere felici se non si rendono felici anche gli altri.

Poi c’è l’altro lato della medaglia. Penso a donne come l’ex Segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice, alla stessa Hillary Clinton o alle poche donne del nostro striminzito orticello politico italiano. Santo cielo, sembra quasi che, per farsi spazio, le donne debbano o vogliano diventare peggio degli uomini. E che non se ne vergognino neppure! Ma allora è davvero una distinzione tra uomini e donne o in realtà il mondo è sempre più diviso tra forti e deboli o, ancora peggio, tra carnefici e vittime?
Qui apriamo un altro discorso, ancora più importante. Riguarda il mondo intero e non più solo il rapporto uomo/donna nella civiltà occidentale, opulenta e consumistica. Qui occorre parlare del destino del mondo, così come tutti noi, uomini e donne, abbiamo contribuito a forgiarlo. E questo non è il migliore dei mondi possibili.
Sempre più grave, profonda e sanguinante è la frattura che separa i ricchi dai poveri, i paesi del nord del mondo da tutti i sud, i potenti del pianeta dalle vittime della globalizzazione, siano essi interi popoli africani, culture millenarie in via d’estinzione o civiltà antiche piegate alla volontà di potenza degli Stati più forti e più armati. Questa è la ferita più grave a cui dobbiamo porre rimedio al più presto; altrimenti il domani sarà per tutti un immenso buco nero perché le vittime d’ogni storia scritta dai forti un giorno o l’altro non ne potranno più e si ribelleranno e non saranno più disposti a subire. E ne avranno tutte le ragioni. Se ne avvertono già i primi segnali. Per questo i giovani di cui parlavo prima mi piacciono: perché hanno già incominciato a invertire la rotta.
Quanto alle donne che vogliono diventare peggio degli uomini, non vedo l’utilità di parlarne. La distinzione di genere si cancella da sé.

In definitiva, hai una ricetta per riequilibrare i rapporti tra i sessi o non ci sono proprio speranze?
Nonostante tutto nutro ancora delle speranze. Perché esistono persone meravigliose, uomini e donne animati da piccoli e grandi ideali, accomunati dalla stessa passione per la giustizia e l’uguaglianza e dallo stesso desiderio di pace tra gli uomini e i popoli tutti.
Persone per le quali ognuno può e deve camminare libero per il mondo, senza frontiere a dividere, né steccati ideologici, né barriere religiose o politiche. La mia ricetta sono loro, una volta ancora quei giovani di cui ho parlato e a cui ho dedicato le ultime pagine del mio libro. Se saranno più coerenti e più coraggiosi dei loro padri, se saranno più giusti nei gesti e nelle parole, se avranno una memoria storica più robusta, una conoscenza più vasta, una capacità d’amore smisurata, allora un giorno il mondo, il loro mondo, diventerà migliore. Per tutti o per nessuno.