lunedì 22 giugno 2009

“Sogni di sabbia”, un libro per raccontare gli Invisibili del pianeta



Paolo Dieci, Cisp, racconta la genesi del volume che riporta storie e visi di migranti e fa il punto (assai critico) sulle politiche migratorie vigenti

Un progetto etico e di denuncia in un momento di forte crisi della coscienza sociale di un intero Paese. L’Italia. Questo è “Sogni di sabbia. Storie di migranti”, il libro voluto dal Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli – Cisp ed edito da Infinito edizioni (che già ha dato alle stampe, nel 2007, Mamadou va a morire, di Gabiele Del Grande, giunto alla sua seconda edizione), che racconta attraverso visi e testimonianze la storia di molti migranti subsahariani rimasti prigionieri dei loro sogni e della sabbia algerina, in un Paese non di rado loro ostile.
Sogni di sabbia” è un utile strumento di riflessione in un momento storico in cui, in Italia, migrazione vuol dire automaticamente invasione e razionalizzazione dei flussi migratori fa rima con respingimento coatto in mare, anche se in violazione del diritto internazionale, anche se in accordo – verrebbe da dire in “combutta” – con una dittatura come quella libica, impersonata da un uomo oggi considerato “amico” ma fino a pochi anni fa negletto dall’intero Occidente, ma infine assurto a ruoli che non gli competono in virtù di un passato rimasto completamente impunito, ovvero sia il colonnello Gheddafi.
Per un Paese come l’Italia – un Paese, oltre che di emigrati, anche di “invasori” e colonizzatori che mai ha fatto i conti con il suo passato coloniale e con le sue meschinità – “Sogni di sabbia” rappresenta una decisiva possibilità di riflessione e di confronto con noi stessi e la nostra pietà. Se l’Italia è il Paese cattolico che sostiene di essere, nulla ha che vedere con il cattolicesimo e con il rispetto di certi precetti il respingimento coatto, anche di donne e bambini provenienti da Paesi in guerra, la negazione del diritto d’asilo o la sua delega a un Paese, come la Libia, che non ha neppure mai firmato la Convenzione di Ginevra ideata ad hoc ormai ben più di mezzo secolo or sono.
Del libro, di migranti e del loro destino, di legislazioni disumane e della politica che ha saputo strumentalizzare la paura di un popolo, quello italiano, in crisi di identità e di coscienza, travestendola da migrante, abbiamo parlato con Paolo Dieci, direttore del Cisp, che da anni lavora sia in Italia che in Africa settentrionale per garantire servizi di informazione e orientamento professionale ed eventualmente assistenza al rimpatrio per lavoratori migranti.

D. Direttore, l’importanza e l’urgenza di un libro come “Sogni di sabbia” è data dalla cronaca nazionale e internazionale. Qual è la posizione del Cisp rispetto alle politiche migratorie europee e nazionali e quali urgenze avete individuato?
R. Alcuni limiti di tali politiche sono così sintetizzabili: scarso coordinamento a livello europeo, tendenza, soprattutto in Italia, a identificare il tema della migrazione con quello della sicurezza e, soprattutto, mancanza di una visione globale dei processi migratori, che vanno compresi e gestiti nel loro insieme, per essere chiari dalla loro origine alla loro destinazione. Sembra oggi di assistere a una rincorsa al presidio delle frontiere, quasi che queste fossero minacciate da pericolose invasioni. Questa visione delle cose è ristretta, inefficacie, oltreché, come vedremo, moralmente discutibile. Le migrazioni sono processi globali, che nascono dallo squilibrio impressionante tra Paesi ricchi e Paesi poveri, si alimentano di aspettative per una vita diversa quando non da vere e proprie fughe. Governare tali processi presidiando le coste è impossibile. Servono politiche integrate, di accoglienza, cooperazione internazionale, formazione e orientamento delle comunità di immigrati. Servono chiaramente anche accordi tra Stati, ma in questo caso vorrei fare due brevi considerazioni. La prima è che tali accordi vanno sottoscritti non solo con gli Stati del Magheb, ma anche con quelli dell’Africa a sud del Sahara, dove spesso migrare significa provare a vincere le catene della povertà. Esistono esempi concreti ai quali l’Italia può rifarsi; penso, ad esempio, all’accordo siglato tra Unione Europea e Mali per l’attivazione di servizi di informazione e orientamento professionale ai migranti potenziali. La seconda considerazione è che tali accordi non devono avere come principale o unica finalità il respingimento dei migranti, senza dare loro oltretutto la possibilità di esporre le loro ragioni, di motivare, in molti casi, la richiesta di asilo.

D. La soluzione giusta alla pressione migratoria dal Sud verso Nord non consiste, dunque, nei respingimenti. Quali dovrebbero essere le risposte più adeguate a questo fenomeno?
R. Il respingimento indiscriminato è innanzitutto moralmente inaccettabile perché nega la possibilità di richiedere asilo anche a coloro che ne avrebbero diritto. Inoltre spinge in modo coatto i migranti in situazioni – lontano dai riflettori dei media – che nessun organo internazionale è in grado di monitorare. Nessuno ha “ricette” o soluzioni a problematiche così imponenti, che – lo ripeto – affondano le loro radici nella disuguaglianza mondiale. Possiamo però provare a ipotizzare un percorso, un processo verso cui andare. Provo a sintetizzare alcuni punti: accogliere la dimensione multiculturale delle nostre società come un’opportunità storica da valorizzare e non come una minaccia (non si dovrebbe scordare che uno dei Paesi più multiculturali del mondo, gli Stati Uniti, sono una grande e solida potenza mondiale, non uno Stato frantumato da divisioni e conflitti interni); lavorare con le comunità e associazioni di immigrati, responsabilizzandole e identificandole come strumenti essenziali per l’integrazione; rafforzare, nel senso che ho già provato a chiarire, la collaborazione tra Europa, Maghreb e Africa Sub Sahrariana; rafforzare le politiche di cooperazione internazionale.


D. Come nasce il progetto “Sogni di sabbia” e quali sono le finalità che la pubblicazione si propone di raggiungere?
R. Il libro nasce come edizione italiana di un testo pubblicato già in francese in Algeria. Va sottolineato questo dato perché le testimonianze e le foto del libro nascono dai progetti realizzati dal CISP nel Maghreb e in Africa Occidentale. Progetti che puntano ad affermare diritti concreti dei migranti, quali: il diritto all’informazione, a conoscere le opportunità e i rischi dei percorsi migratori; il diritto all’assistenza sociale, ovunque si trovino, nelle aree di origine, nei Paesi di transito, in quelli di destinazione; il diritto a essere sostenuti, se decidono di rientrare in patria, affinché il rientro non sia vissuto come un fallimento ma al contrario coincida con l’avvio di attività economiche per il sostentamento della propria famiglia.
Per dirlo in una frase, abbiamo voluto pubblicare “Sogni di Sabbia” per sottrarre i migranti alla condanna dell’invisibilità. Il libro non ci parla genericamente di migranti; ci mostra immagini e riporta testimonianze di donne e uomini con nomi, cognomi, storie, speranze, frustrazioni. Donne e uomini, se posso aggiungere, in ogni caso coraggiosi, che hanno intrapreso un progetto difficile, pieno di rischi e che hanno deciso di raccontarsi.

D. Il libro ritrae fotograficamente e custodisce le storie di molti migranti subsahariani rimasti bloccati nel limbo algerino, un limbo pericoloso e ostile, non meno della Libia. Oltre al coraggio di queste donne e di questi uomini sono incredibili le loro storie. Ce n’è qualcuna in particolare che le è rimasta impressa e che vuole raccontare ai lettori?
R. Tutte le storie contenute nel libro sono incredibili e coinvolgenti, perchè aprono uno squarcio su realtà dolorose, che solo in parte possiamo immaginare. Mi ha colpito la testimonianza di un giovane ragazzo della Costa d'Avorio, Haddane Konè, che vive ad Algeri lavorando come calzolaio. Lui, come tanti altri, ha tentato di arrivare in Europa attraversando il deserto, passando prima dal Marocco e poi dall'Algeria, senza riuscirci. In questo lungo viaggio ha perso un fratello e tanti amici, ha visto cose che mai avrebbe voluto vedere, ma ha scelto di farlo perchè nel suo Paese non c'erano soldi da guadagnare. Anche lavorando, lui e la sua famiglia non potevano farcela. Lui, come tanti africani, è partito per lavorare onestamente in altri Paesi. Ma spiega anche che “se lo Stato ci aiutasse, non andremmo in Europa. Se l’Europa pagasse il nostro cotone a un giusto prezzo, i giovani Africani non partirebbero. Da noi c’è la terra da coltivare. Abbiamo questa forza. Ma siamo fregati dal nostro Stato”.

D. Che cosa accade a chi non riesce a coronare i suoi sogni di sabbia? Brutalmente, che fine fa chi non riesce ad arrivare in Europa?
R. È noto che ormai i paesi del Maghreb sono sempre più significativamente luoghi di destinazione dei migranti dell’Africa sub sahariana. Molti rimangono a vivere in Algeria, ma anche in Marocco, Tunisia, Libia. Le condizioni di vita in questi Paesi sono quasi sempre molto dure, difficili anche perché fenomeni quali la xenofobia e il rifiuto del diverso esistono anche nelle società maghrebine, non solo nelle nostre. Altri decidono di tornare, di dare vita ad attività economiche nei loro Paesi e, come dicevo, quello del rientro volontario assistito è a mio avviso uno dei più significativi diritti da affermare.


D. Ma, a volte, anche a chi arriva da quest’altra parte del Mediterraneo le cose non vanno molto meglio. Sfruttati in nero nei campi o nelle fabbriche, oggetto di razzismo, disprezzati, ormai persino colpiti da apartheid, se pensiamo alle norme imposte dall’attuale governo italiano, che pretende da presidi, medici, infermieri e altri di trasformarsi in delatori, non di rado commettendo errori drammatici. Torniamo allora alle domande iniziali, ma stavolta dal lato dell’accoglienza. Perché un Paese di emigranti non sa e non vuole accogliere migranti, e anzi li discrimina, senza neppure avere la sensibilità di cogliere la differenza tutt’altro che sottile tra migranti economici e richiedenti asilo?
R. Mi permetto alcune considerazioni sul mio paese, l’Italia. È un paese per molti aspetti meraviglioso, con grandi istanze di solidarietà. È un paese dove ci sono tante associazioni di base, gruppi di volontariato (laico e cattolico), organizzazioni di solidarietà internazionali. Però c’è anche – e purtroppo crescente – una spinta verso il rifiuto del diverso e la xenofobia. Ho la sensazione che questa spinta nasca dalla paura e sia alimentata ad arte per meschini interessi politici. Lasciamo sullo sfondo il secondo tema e affrontiamo con energia il primo: dobbiamo disinnescare la paura del diverso. Lo ripeto: la società multiculturale non è una minaccia, ma una risorsa, anche in termini economici. Pensiamo ad esempio, in un’economia globalizzata, agli evidenti vantaggi che una società dove convivono comunità provenienti da vari Paesi può avere rispetto a società chiuse, arroccate su se stesse, incapaci di aprirsi all’esterno. Purtroppo c’è, a mio parere, un altro “problema italiano” da affrontare: questo Paese, per molti aspetti, lo voglio ripetere, meraviglioso, ha difficoltà a coltivare la memoria storica. Così come non ha fatto i conti con il suo passato coloniale oggi non fa i conti con la storia della sua emigrazione. Sta a tutti noi lavorare per ricostruire questa memoria. Del resto è difficile trovare una nostra famiglia italiana che non abbia o abbia avuto migranti. Nella mia, per fare un esempio concreto, ci sono persone andate a vivere in Costa Rica, Argentina, Stati Uniti. Se avessi questa autorità renderei obbligatoria, nelle scuole superiori, la lettura del libro “L’Orda” di Stella. È una lettura che oggi fa impressione anche perché evidenzia come i peggiori stereotipi contro gli immigrati sono del tutto speculari a quelli che si sono abbattuti contro la nostra gente. Gente che con il suo sacrificio e le rimesse dall’estero ha contribuito enormemente alla rinascita dell’Italia dopo la II guerra mondiale. Perché oggi dovremmo negare quest’opportunità ai nostri fratelli e alle nostre sorelle dall’Africa?

D. Possiamo concludere con una parola di speranza o le cose volgono davvero, inesorabilmente, al peggio?
R. Senza nessuna inutile retorica, la speranza è il motore che ci spinge ad andare avanti. E non nasce dal nulla. Nasce dalle tante e positive esperienze concrete di integrazione riuscita, dalle attività imprenditoriali alle quali hanno dato vita migranti giunti in Europa, dalle tante esperienze positive di successo di rientro volontario. Ad esempio, anche grazie all’osservatorio dei nostri progetti possiamo apprezzare cooperative di servizi e di produzione artigianale nate grazie all’accesso al credito in Paesi quali la Repubblica Democratica del Congo e il Niger ad opera di migranti di rientro. La speranza nasce dal fatto che tra gli effetti della globalizzazione vi è anche lo sviluppo, in Europa, in Africa (a nord e sud del Sahara) e altrove, di una coscienza civile sulla centralità dei diritti, di reti della società civile pronte a impegnarsi e a farlo in modo coordinato per affermare in concreto diritti di cittadinanza ai migranti. È vero: crescono anche il razzismo e la xenofobia, ma per fortuna non crescono da soli. Accanto e contro di essi crescono la solidarietà e l’impegno civile. È un terreno aperto, dove conviene continuare a giocarsi tutte le carte, con progetti, iniziative concrete di cooperazione e anche con politiche culturali, libri, riflessioni. “Sogni di Sabbia”, curato dal nostro Responsabile per l’Africa Sandro De Luca, nasce proprio in questa prospettiva.